mercoledì 25 novembre 2015

The Visit

La quindicenne Becca gira un video nel quale sua madre racconta come a 19 anni si sia innamorata, contro il volere dei genitori, d'un insegnante. Qualcosa di grave ha causato la rottura dei rapporti coi suoi che soltanto adesso, dopo tre lustri, l'hanno rintracciata, esprimendo il desiderio di vedere i due nipoti, Becca e il tredicenne Tyler. I ragazzi sono d'accordo e quindi la mamma, da tempo lasciata dal consorte e con un nuovo compagno, ne approfitterà per godere con lui d'una breve crociera. Prima di partire, spiega a Rebecca che si stanno recando da persone gentili ed apprezzate: fanno, finanche, volontariato in un ospedale. La ragazzina inizia così a girare un documentario amatoriale sulla visita ai nonni, che non ha mai visto. Vorrebbe sapere perché la mamma non si è mai riconciliata con loro, ma lei tace: saranno questi ultimi a dirlo, se credono. Giunti col treno a Masonville, Pennsylvania, all'arrivo vengono accolti dai nonni presso i quali si fermeranno per una settimana. I vecchi si rivelano gentili e li conducono nella loro grande casa, tra i boschi e la neve: per i ragazzi, si tratta di un mondo ignoto e fascinoso, tutto da scoprire. Sanno che possono fare quanto vogliono, ma c'è una regola che non può esser infranta: non possono uscire dalla loro stanza dopo le 21.30, per alcun motivo. La loro curiosità, tuttavia, prende ben presto il sopravvento e ai due adolescenti non resta che registrare come, nelle ore della notte, qualcosa di strano ed inquietante avviene...

Il regista americano di origine indiana M.Night Shyamalan ha conosciuto con "Il sesto senso" (1999), suo terzo lungometraggio, un grande successo, mettendo a punto una tipologia di cinema dell'orrore basata sull'angoscia e lo spaesamento in luogo dello splatter dilagante; contrassegnato, inoltre, da un rovesciamento di prospettive nel corso della narrazione ch'è un po' divenuto il suo marchio di fabbrica. Abbandonato, con le sue opere seguenti, dal favore del pubblico, egli ha finito per divenire ingiusto bersaglio pure degli strali della critica: se è vero che la fatiche sue successive non sempre son risultate soddisfacenti, perse tra temi altisonanti e toni misticheggianti, è altrettanto innegabile che, in qualche caso, egli abbia centrato in pieno il bersaglio. Ad esempio in "The Village" (2004), basato anch'esso sul contrasto tra vecchi e ragazzi ed abitato da "creature innominabili", che sorprende per la naturalezza con cui un colpo di scena davvero inaspettato trasmuta la storia da fiaba gotica a melanconica utopia sulle paure contemporanee. 

Sia come sia, il regista appare qui tornato alla sua forma migliore. Prodotto dalla Blumhouse, la casa di Jason Bloom che ha fatto fortuna con il filone figliato da "Paranormal Activity" e basato sulla tecnica del "found footage" (macchina da presa tremolante, sovente adoperata in soggettiva, e scene girate come se si trattasse d'un film dentro il film), "The Visit" supera con eleganza il problema, ponendo che Becca disponga di un'attrezzatura semi-professionale e, quindi, capace di produrre immagini di buona qualità. A parte codeste considerazioni tecniche, ciò che del film convince è il suo carattere di studio sui tempi della paura: lavorando con mezzi linguistici propri della settima arte (azioni fuori campo, sfocature della immagine in profondità, colori, colonna sonora), Shyamalan resuscita spaventi ancestrali e, soprattutto, è convincente nel collegarli alla situazione psicologica dei due piccoli protagonisti, rampolli disastrati di una famiglia altamente disfunzionale. Narrando una favola che sarebbe piaciuta al Propp di "Morfologia della fiaba" e al Bettelheim de "Il mondo incantato", Shyamalan svaria da suggestioni che vanno dallo "Unheimlich" di freudiana memoria al Grant Wood di "American Gothic". Non dimenticando, per di più, di alleggerire il tutto con qualche tocco di humour, dalla musica usata per antifrasi alle parentesi rap proposte dal simpatico Tyler. A proposito di attori, Olivia DeJonge ed Ed Oxenbould possiedono senza dubbio la sicurezza di attori consumati, malgrado la loro giovanissima età; e son diretti con maestria da un cineasta a suo agio con i piccoli, come già aveva dimostrato ne "Il sesto senso".
                                                                                                                                     Francesco Troiano

THE VISIT. REGIA: M.NIGHT SHYAMALAN. INTERPRETI: OLIVIA DEJONGE, ED OXENBOULD, DEANNA DUNAGAN, KATHRYN HAHN. DISTRIBUZIONE: UNIVERSAL. DURATA: 94 MINUTI.

lunedì 23 novembre 2015

Regression

1990. In una piccola cittadina del Minnesota, il detective Bruce Kenner sta indagando sul caso di una giovane di nome Angela, che accusa il padre, John Gray, d'aver abusato sessualmente di lei. L'uomo ammette la propria colpevolezza, ma inaspettatamente sostiene di non avere memoria del fatto. Con l'aiuto del celebre psicologo dr. Raines, inizia allora una terapia regressiva durante la quale egli rivive il suo passato e coinvolge un poliziotto quale proprio partner nel crimine. Poco dopo, riaffiorano nel figlio e in altre persone i ricordi rimossi di orribili abusi. Contemporaneamente, i notiziari locali cominciano a dar conto di una setta satanica che, da anni, starebbe eseguendo dei riti con orge, assalti, uccisioni di animali e bambini. L'allarme nelle forze dell'ordine diventa massimo quando storie analoghe giungono dall'intero paese, quasi a definire i contorni di una cospirazione nazionale e, forse, soprannaturale...

"Ci furono una serie di fenomeni reali in cui le indagini della polizia, le consulenze con gli psicologi e la superstizione conversero nel tentativo di mettere insieme un puzzle strano e terrificante, rinominato poi 'Satanic Ritual Abuse'. L'onda di accuse e confessioni fu travolgente, distrusse intere famiglie, generò caos e panico nella società e in alcuni casi ci furono conseguenze molto serie a livello legale. E' stato molto interessante ripercorrere quei casi avvenuti negli anni '80 e '90 con la prospettiva del 21° secolo." Nativo di Santiago del Cile, classe 1972, Alejandro Amenabar torna con "Regression" a quel cinema del mistero cui apparteneva il suo brillante esordio nel lungometraggio, "Tesis" (1996, vincitore del premio Goya) e al quale è, successivamente, ritornato, sia con il thriller psicologico "Apri gli occhi" (1997), sia con il fortunato "The Others" (2001), horror soprannaturale arricchito da una bella prova 
di Nicole Kidman.

Ispirandosi nelle atmosfere alle più riuscite pellicole del genere degli anni '70, da "Rosemary's Baby" a "L'esorcista", Amenabar riprende di quel decennio pure il modo di raccontare, il tono lento e moderato che oggi - in epoca di MTV - può parere ai più giovani anacronistico e soporifero. In realtà, gli amanti del buon cinema apprezzeranno il modo in cui il cineasta cileno si prende il giusto tempo per definire le psicologie dei protagonisti: esemplare, in questo senso, il ritratto del detective, reduce da un divorzio e propenso a riversare la propria personalità maniacale nella frenesia lavorativa, lasciando il dubbio se si tratti di un ossessionato o di un ossesso. Lo scioglimento, che potrà forse lasciare perplessi gli amanti del brivido, è in realtà coerente con la narrazione e pone interrogativi nient'affatto secondari su ciò che serve e ciò che non serve all'individuo, oggi, per attraversare un mondo reso indecifrabile dai rumori di fondo, infettato dalla credulità. Ethan Hawke ed Emma Watson risultano credibili e sottilmente ambigui.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

REGRESSION. REGIA: ALEJANDRO AMENABAR. INTERPRETI: ETHAN HAWKE, EMMA WATSON, DAVID THEWLIS. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 106 MINUTI.

martedì 17 novembre 2015

Mr.Holmes

Nel 1947, Sherlock Holmes è ormai un anziano detective che, abbandonata la professione, s'è rifugiato  nella campagna del Sussex, dove vive con una governante e col figlioletto di lei, allevando api. Afflitto da problemi di memoria, che aumentano le difficoltà di un'esistenza senile, è perseguitato da un ricordo: quello della sua ultima indagine. Si tratta d'un caso rimasto irrisolto, per il quale aveva deciso di ritirarsi a vita privata; c'è qualcosa che deve ancora scoprire, un dettaglio nella memoria che non riesce a metter a fuoco. Rammenta un non ben chiaro viaggio in Giappone ed una misteriosa "donna del guanto", un evento che avrebbe potuto evitare, infine: mentre frammenti del passato continuano ad affiorare ed egli è costretto ad affrontare le proprie scelte di fondo (in primis, l'arido crogiolarsi nella solitudine), un disastro colpisce le api della sua coltivazione...

Il più noto detective londinese, creato dalla fantasia di Arthur Conan Doyle, ha fatto il suo esordio nel romanzo "Uno studio in rosso" (1887), al quale ne son seguiti altri tre, oltre a 56 racconti, gratificati da un successo ininterrotto. Infinite volte la sua figura, affiancata da quella del suo inseparabile sodale, il dottor Watson, è stata portata sullo schermo: si comincia con un corto del 1902 e s'arriva ai giorni nostri con la serie tv "Elementary". Nel tempo, John Barrymore, Basil Rathbone, Christopher Lee, Robert Stephens, Christopher Plummer, Roger Moore, Robert Downey jr. ne hanno indossato i panni, in tante pellicole mai rivelatesi capi d'opera: ad eccezione di quel "Vita privata di Sherlock Holmes" (1970), in cui Billy Wilder non cela gli aspetti più oscuri - la propensione alla malinconia, se non alla depressione, e l'uso della cocaina - del personaggio, ponendo l'eroe infallibile alle prese col suo primo insuccesso.

In questo "Mr.Holmes", la tendenza demistificatoria trova ampio spazio: come egli stesso ci spiega, è stato Watson ad attribuirgli il berretto da cacciatore - mai indossato - e la pipa, alla quale preferisce il sigaro. Ed è magistrale la sequenza in cui il vecchio investigatore si reca al cinema per assistere ad un film con il suo alter ego di celluloide, provando imbarazzo per le pose ridicole che quest'ultimo assume. Godibile pure come mera vicenda di detection, "Mr.Holmes" risulta tuttavia più intrigante laddove, fra le pieghe dell'enigma, lo spettatore riesca a rintracciare una riflessione sul rapporto tra il vero, il falso e la rappresentazione. Nello scioglimento, ogni domanda troverà risposta e le tessere del puzzle andranno al loro posto: ma, a sancire che la soluzione non è il parametro adottato per conferire significato al plot, c'è una assolutamente imprevista battuta del nostro, "non tutto si può spiegare". Il regista Bill Condon ha scelto per interpretare il personaggio Ian McKellen, che già aveva adoperato per James Whale in "Demoni e dei" (una parte per la quale venne candidato ad un Oscar che avrebbe assolutamente meritato). Il magnifico attore inglese è all'altezza della sua fama e trova, nell'undicenne Milo Parker, un partner adeguato alla bisogna.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

MR.HOLMES. REGIA: BILL CONDON. INTERPRETI: IAN McKELLEN, LAURA LINNEY, MILO PARKER, HATTIE MORAHAN. DISTRIBUZIONE: VIDEA. DURATA: 104 MINUTI.


martedì 10 novembre 2015

Gli ultimi saranno ultimi

Luciana vive ad Anguillara, lavora in fabbrica ed è sposata a Stefano, simpatico cialtrone disoccupato da sempre e in caccia perenne d'idee per guadagnare senza fatica. Nella medesima località (il litorale romano, dove la cosa più avventurosa che ti possa capitare è di pranzar al ristorante "Cacio e pesce"), giunge un poliziotto veneto caduto in disgrazia per non avere salvato il partner in servizio. Allorquando Luciana, che da tempo desidera un figlio inutilmente, vede avverarsi il proprio sogno, il datore di lavoro non le rinnova quel contratto "a tempo determinato", che è l'unica fonte di reddito per la sua famiglia. In un paese nel quale la voce di Radio Maria esce finanche dai water, per entrambi è l'inizio d'un calvario: Luciana sprofonda in difficoltà economiche via via più stringenti, mentre l'agente è messo alla berlina, ancor più quando fa amicizia - senza accorgersene - con un transessuale. Le tensioni salgono ed uno sbocco tragico matura, quasi inevitabilmente...

Massimiliano Bruno ha esordito nella regia cinematografica con "Nessuno mi può giudicare" (2011), commedia sentimentale di modesto spessore ma grande successo, che lo ha convinto a proseguire sulla medesima strada. Il passo successivo, "Viva l'Italia" (2012), pur avendo intenti vetrioleggianti e azzardando osservazioni di costume, risultava peggiore quanto a volgarità e sciatteria di scrittura. "Confusi e felici" (2014) cercava di aggiustare il tiro, suscitando il sorriso con metodi più eleganti, ma senza migliorare sostanzialmente gli esiti. Va detto, comunque, che il favore del pubblico non è mai mancato, sicché il nostro ha, stavolta, deciso di aumentare le ambizioni: adattare pel grande schermo un suo lavoro teatrale costruito in forma di monologo, affidato ad una Paola Cortellesi capace di dare vita a diversi personaggi con maestria.

Il primo problema postosi è quale formula narrativa scegliere per il passaggio in celluloide. La strada più semplice era quella della commedia corale, e così è stato: il personaggio del poliziotto in disgrazia, ad esempio, è stato inventato di sana pianta ed affidato ad un Fabrizio Bentivoglio valido come d'uso, tuttavia impossibilitato a fare miracoli con un carattere mal concepito e poco attendibile. Lo stuolo di figurette che si muovono intorno a volte soddisfano, altre no: è deliziosa, ad esempio, Maria De Biase nei panni di una poliziotta sovrappeso (e la cena di Capodanno con Bentivoglio è un piccolo pezzo di bravura di entrambi, con le emozioni che, finalmente, arrivano). A funzionar davvero bene, sono i due protagonisti: Alessandro Gassmann, approdato ad una piena maturità, disegna con leggerezza il suo Stefano, coniugando tenerezza e infingardaggine con sottile perspicacia; quanto alla Cortellesi, reduce dal lungo rodaggio teatrale, fornisce la miglior prova della sua carriera, rendendo a perfezione l'infinita complessità di una donna semplice. Nel drammatico scioglimento, è addirittura strepitosa: è un peccato che l'accenno di lieto fine, in coda, comprometta il delicato equilibrio del tutto. In ogni caso il miglior film di Bruno, che si è preso finalmente qualche rischio, e ha quasi vinto la scommessa.

                                                                                                                                     Francesco Troiano

GLI ULTIMI SARANNO ULTIMI. REGIA: MASSIMILIANO BRUNO. INTERPRETI: PAOLA CORTELLESI, ALESSANDRO GASSMANN, FABRIZIO BENTIVOGLIO. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 103 MINUTI. 

 


mercoledì 4 novembre 2015

Alaska

Sulla terrazza d'un albergo parigino di lusso, s'incrociano i destini di Fausto, cameriere italiano sfrontato e impulsivo, e di Nadine, in tacchi a spillo, mutandine, giacca a vento: sta partecipando a una selezione per modelle, senza troppa convinzione. I due si guardano, si punzecchiano, si riconoscono. Il bel gesto di far visitare a Nadine la suite più prestigiosa dell'hotel (500 metri quadri e 15.000 euro a notte) viene pagato a caro prezzo da Fausto: denunciato dal cliente - che ha pure colpito per difendere la ragazza - è condannato a due anni di prigione. Nel corso della reclusione, non riceve visite da Nadine, che però si fa trovare alla scarcerazione. E' riuscita ad emergere nel mondo della moda ed ora vive a Milano: dopo una scaramuccia, la passione scoppia travolgente fra i due, che scelgono di vivere insieme. Ma Fausto non accetta di adattarsi ai lavori umili che vengono offerti ad un ex-pregiudicato: lui pensa in grande e, quando si presenta l'occasione d'aprire una discoteca (l'Alaska del titolo) in società con Sandro, curioso tipo di irregolare in cerca d'affetto, s'appropria dei risparmi della ragazza per far decollare l'impresa. E' l'inizio d'una lunga odissea che vedrà le loro vite scorrer in parallelo, mosse dall'ambizione e disponibili a giocarsi tutto, pur di emergere...

Al suo terzo lungometraggio, Claudio Cupellini (reduce dall'aver diretto, per la televisione, il fortunato "Gomorra - La serie") sceglie di dedicarsi ad un mélo classico, sulla scorta di Truffaut (lui dice d'essersi ispirato a "La mia droga si chiama Julie") e più probabilmente di Jacques Audiard. Riferimenti letterari, pure, dato che il nostro cita addirittura "Il grande Gatsby"e - singolare paragone - una canzone di Bob Dylan, "Tangled up in Blue". In realtà, al cinefilo viene in mente subito "Paris s'eveille" (1991), dove Olivier Assayas indagava da par suo - nella storia di due giovanissimi fatalmente attratti l'uno dall'altra - il tipico conflitto di quella stagione dell'esistenza, tra rabbia ed integrazione.

Come si vede, i modelli sono di prim'ordine e le ambizioni del regista di "Una vita tranquilla" elevate. I suoi personaggi, che all'inizio hanno niente ed alla fine avranno conquistato e perso più o meno tutto, danno un'impressione di vero e di credibile, resa ancor più intensa dalle ottime prove di Elio Germano,  una certezza, e di Astrid Bergès-Frisbey, una scoperta. La struttura all'americana, tesa e concentrata sui fatti, giova alla narrazione, che infila scene madri ed eventi tragici senza, tuttavia, scivolare nel ridicolo. Se un rimprovero si può fare al nostro è che, dopo una prima parte intensa e sostenuta, nella seconda a Milano s'affastellano un eccesso di personaggi non sempre plausibili (l'ingenua ragazza ricca Francesca, per dirne uno) e la materia si sfilaccia, mostrando un'anima da serie televisiva che fa calare l'interesse. Al tirar delle somme, tuttavia, l'esperimento si rivela interessante e degno di nota; e segno certo, inoltre, della maturazione d'un cineasta sul quale, nel futuro, si potrà fare ampio affidamento.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

ALASKA. REGIA: CLAUDIO CUPELLINI. INTERPRETI: ELIO GERMANO, ASTRID BERGES-FRISBEY, VALERIO BINASCO, ELENA RADONICH. DISTRIBUZIONE: 01.
DURATA: 125 MINUTI.