mercoledì 20 maggio 2015

Youth - La giovinezza

In un albergo di lusso ai piedi delle Alpi Fred e Mick, due amici di vecchia data sulla soglia degli ottanta anni, trascorrono assieme una vacanza primaverile. Mick Boyle è un celebre cineasta inglese, emigrato a Hollywood, alle prese con il proprio film-testamento insieme ad un manipolo di giovani sceneggiatori; Fred Ballinger è un riverito compositore e direttore d'orchestra che si è messo in pensione di propria volontà, accettando - con un atteggiamento a mezza via fra apatia e cinismo - la vecchiaia e i suoi ozi. Sanno che il loro futuro si va inesorabilmente esaurendo e decidono di affrontarlo in due, guardando con curiosità e tenerezza agli altri ospiti dell'hotel e, in generale, alle persone più giovani di loro. A un certo punto, si presenta un emissario di Elisabetta II: Sua Maestà desidera festeggiare il genetliaco del consorte con un concerto nel quale, per l'occasione, il maestro Ballinger dovrebbe tornare a dirigere le sue famose "Simple Songs". Egli rifiuta; e rifiuta pure d'interpretare la pellicola di Boyle l'attrice Brenda Morel, protagonista abituale delle opere di quest'ultimo, che in un primo momento aveva assicurato la propria disponibilità. E, senza di lei, i produttori non accetteranno d'investire nel progetto di Mick...

Era molto atteso, il ritorno in attività di Paolo Sorrentino dopo il discusso "La grande bellezza", dato che  la sua estetica peculiare tanto aveva diviso critica e pubblico in estimatori e detrattori molto decisi. Per di più, il regista napoletano tornava in competizione a Cannes, ove due anni fa la giuria aveva ignorato  il film, di poi premiato con l'Oscar. Chi temeva un lavoro infarcito di ridondanze e di compiacimenti, tiri pure un sospiro di sollievo: "Youth - La giovinezza" è un'opera compatta e coesa, alla quale neppure nuocciono le tante sottolineature del finale. Libero di essere nuovamente se stesso, senza più o meno consci confronti coi maestri, il nostro ritrova il suo stile inconfondibile, pur non rinunciando a certi vezzi - personaggi più o meno misteriosi che appaiono e scompaiono, ad esempio - che risultano, tuttavia, qui coerenti con l'andatura rapsodica della narrazione. Sfuggendo la tentazione di fare del suo duo di sodali una sorta di versione aggiornata de "I ragazzi irresistibili", Sorrentino s'arrischia dalle parti della malinconia ("la felicità di essere tristi", chiosava Victor Hugo), non evitando sottolineature sarcastiche ma, in fondo, neppure negando amore ai propri personaggi.

"Mi interessa raccontare la vecchiaia in funzione del rapporto con il futuro, quando ne hai poco davanti, e rispetto ai figli. Il fatto che i vecchi si avviliscono perché si disperde il patrimonio delle cose che hanno fatto per loro. E' atroce che tutta la quantità e la qualità delle cose che hai fatto per stabilire un rapporto svaniscano. Non mi fa paura lo sparire dalla Terra, ma dagli occhi dei miei figli". Per un essere umano che ha perso, nella vita, entrambi i genitori all'età di 17 anni, si tratta di tematiche difficili da sviluppare (a cominciare dal rischio di puntare, magari involontariamente, sull'esazione della lacrima nella platea). Invece l'autore, popolando la vicenda di sogni e di visioni, ambientandola nella struttura dove Thomas Mann collocò il suo "La montagna incantata", raffredda la materia e la colloca in una zona iperreale, tra stralunate gonfiatrici di palloni e spiritate cantanti, nella luce forte del mattino o in quella d'una notte dal sapore onirico. Al termine, l'anziano direttore tornerà sul podio, lasciando libero il Narciso che è in lui e che si era sforzato per tanto tempo di tenere alla catena, dalla morte della moglie in poi. Anche chi sta dietro la macchina da presa lo imita, scegliendo uno scioglimento lieve per una fatica non inficiata da pacchiane bellurie; invece, vivace e profonda al tempo medesimo. Proprio come la recitazione di tutti, davvero tutti, gli attori di questo strepitoso cast.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

YOUTH - LA GIOVINEZZA. REGIA: PAOLO SORRENTINO. INTERPRETI: MICHAEL CAINE, HARVEY KEITEL, RACHEL WEISZ, PAUL DANO, JANE FONDA. DISTRIBUZIONE: MEDUSA. DURATA: 118 MINUTI.

sabato 9 maggio 2015

Il racconto dei racconti

"L'Italia possiede nel 'Cunto de li Cunti' o 'Pentamerone' del Basile il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari; eppure l'Italia è come se non possedesse quel libro perché, scritto in un antico e non facile dialetto, è noto solo di titolo, e quasi nessuno più lo legge". Forse per detto motivo proprio l'autore di queste righe, Benedetto Croce, fu il primo a tradurne l'ispido ma denso napoletano, in lingua. Definito da Calvino "il sogno di un deforme Shakespeare partenopeo", il libro  - dal curioso sottotitolo "lo trattenemiento de peccerille", vale a dire l'intrattenimento per i più piccini -  viene edito tra 1634 ed il 1636, a Napoli. Popolato di regine e cortigiani in nero, di draghi e damigelle vergini, di bordelli di donne nude nell'acqua e orchi, la raccolta è suddivisa in 50 racconti; in questa sua ultima fatica, Matteo Garrone sceglie di adattarne tre.

Ne "La regina" (tratto da "La cerva fatata"), la protagonista è disperata perché non riesce ad avere un figlio. Una notte, un negromante suggerisce alla coppia regale una soluzione assai rischiosa: mangiando il cuore di un drago marino, cucinato da una vergine, la sovrana resterà incinta. Il re perde la vita per uccidere la bestia, ma lo scopo è raggiunto. Di figli, però, ne nascono due, eguali come gocce d'acqua: il secondo è partorito dalla sguattera cuciniera del cuore. E la regina è gelosa dell'amicizia dei ragazzi...
Ne "La pulce" (da "Lo pulece"), un re cattura una pulce e la nutre a dismisura, sino a farla diventare una sorta di mostruoso animale domestico. Quando esso muore, il sovrano lo fa scuoiare e decide che darà in sposa la figlia a chi saprà dire di che bestia sia la pelle misteriosa. Ci azzecca un orco, ed è costui che avrà in premio la fanciulla. Ma quest'ultima non riesce a rassegnarsi, e medita la fuga...
Ne "La vecchia scorticata" (da "Le due vecchie"), un'anziana lavandaia che vive con sua sorella è oggetto delle attenzioni del giovane e aitante re, che ne conosce solo la voce. La più astuta delle due, Dora, grazie ad un incantesimo riesce a tornare giovane e bella, e a farsi impalmare dal reale; l'altra, Imma, perduta nel sogno di seguire le tracce della sorella, finisce per farsi allo scopo scorticare viva...

Si comprenderà, da questi accenni di trama, che siamo dentro a quel genere fantasy oggi assai in voga,  che ha nella serie televisiva "Il trono di spade"la sua punta di lancia. Figurativamente, il film l'ha avuta ben presente; tuttavia, il colto Garrone cita fra le fonti d'ispirazione pure i "Capricci" di Goya, i corti di Pasolini, il cinema di Mario Bava. V'è tutto questo, certo, ne "Il racconto dei racconti"; e l'idea di aver frammischiato le storie, allo stesso tempo contaminando e rivisitando, è uno tra gli atout della pellicola, di molto superiore ad analoghi prodotti d'oltreoceano, per tessitura fantastica e per eleganza figurativa. L'idea, però, di puntare ad un pubblico internazionale, espone l'opera ai rischi comuni a tal genere di operazioni: gli attori anglofoni, pur bravi, a volte paiono disorientati; e la verità narrativa è inficiata, in  parte, dalla scelta di trascurare il verace dialetto d'origine. Quando Pasolini licenziò il suo "Decameron" (1971) spostò l'ambientazione dalla Toscana alla Campania, in cerca di un'ingenuità perduta ma, pure, per rileggere il Boccaccio con gli occhi del Basile; il risultato è, non a caso, un capolavoro senza tempo, tra gli esempi più alti di cinetraduzione d'un testo letterario. Nel lavoro di Garrone, di contro, quel che latita è l'anima: nel catalogo d'immagini belle e fredde che passano sullo schermo, di rado fa capolino. Non avveniva così ne "L'imbalsamatore" od in "Primo amore", men che mai in "Gomorra". E' il caso di sottolineare, tuttavia, come la nostra obiezione sia rivolta ad un film di gran classe, che conferma la scaturigine visionaria nell'ispirazione del nostro.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

IL RACCONTO DEI RACCONTI. REGIA: MATTEO GARRONE. INTERPRETI: SALMA HAYEK, VINCENT CASSEL, TOBY JONES, STACY MARTIN, JOHN C. REILLY. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 128 MINUTI.

sabato 2 maggio 2015

Forza maggiore

Una famiglia svedese di quattro persone - Tomas e Ebba, con i figlioletti Vera e Harry - si reca per la settimana bianca sulle Alpi francesi. Il capofamiglia lavora molto, perciò questa vacanza sulle Alpi si è caricata di particolari aspettative. L'avveniristica struttura nella quale essi hanno preso alloggio prevede finanche delle "valanghe controllate", ma accade un imprevisto. Uno degli eventi "provocati" sorprende gli ospiti mentre siedono per pranzo ai tavoli all'aperto del ristorante panoramico: una valanga si dirige a gran velocità verso di loro, quasi fosse destinata a travolgerli. La quiete del gruppo pure, pare esser travolta da una slavina: c'è chi, ad esempio, viene colto da una sorta di attacco di panico. Tra di loro è Tomas che, istintivamente spinto a mettersi in salvo il prima possibile, afferra il cellulare e le sigarette, prima di darsi a una precipitosa fuga; Ebba, invece, resta per proteggere i figli e, nel caso, morire con loro. La valanga si arresta, ed i quattro rientrano sani e salvi: il comportamento dell'uomo, tuttavia, ha incrinato qualche cosa nella coppia, ed è una crepa destinata ad aprirsi sempre di più...

"Ci sono degli studi ove si dimostra come buona parte delle coppie che sopravvivono alle catastrofi, finiscono per divorziare. Secondo i canoni della società nella quale viviamo, gli uomini dovrebbero proteggere le loro donne e le loro famiglie, senza indietreggiare di fronte al pericolo. Invece, nelle situazioni di cui stiamo dicendo, sembra siano proprio gli uomini a reagire più spesso con la fuga". 
Premio della giuria a "Un Certain Regard" nell'edizione 2014 di Cannes, "Forza maggiore" del 39 enne Ruben Ostlund - già messosi in luce con il premiatissimo "Play" (2012) - è stato uno tra i film che ha suscitato maggior interesse, celebrato dalla critica e amato dal pubblico. La bravura del regista sta nel raccogliere una suggestione - come si sopravvive, s'è detto, ad un'esperienza fortemente drammatica, tipo un dirottamento o uno tsunami - e trasformarla in cinema allo stato puro, tracciando in maniera convincente un parallelismo tra il percorso inarrestabile di un'emozione e quello, simile, d'una slavina. 

Strutturata con l'abilità di chi conosce le regole del genere "alta montagna", "Forza maggiore" è una pellicola in cui la psiche dei personaggi si muove in silenziosa corrispondenza con la natura, seppure fuoriuscendo dai percorsi usuali: ad esempio, non sono rare le parentesi di divertimento laddove ci si aspetterebbero atmosfere sempre drammatiche. L'inconveniente accaduto a Tomas mina le certezze degli ospiti più giovani, innescando ironicamente una reazione a catena, quantunque nella diversità di condizione delle varie coppie. Il mito della solidarietà scandinava avverso all'individualismo, del dialogo come pratica consolidata di comunicazione, ne esce a pezzi: così pure quel politicamente corretto, per cui le differenze tra uomini e donne sono divenute un argomento da evitare, quasi un tabù. Come in Haneke (che, di certo, è un punto di riferimento per il quarantenne autore), si gioca con raffinatezza sull'asse dello scardinamento di ogni certezza, segnatamente dal punto di vista dello spettatore. La scrittura, assai solida, si coniuga ad un talento narrativo immaginificamente audace: gli attori - perfetti finanche nei ruoli più piccoli - s'inseriscono perfettamente nel meccanismo, fino ad apparire essi stessi sopraffatti da una vicenda che richiede a chi siede in platea una "suspension of disbelief" non comune, ripagandolo tuttavia con un risultato di prim'ordine. Lo scioglimento è la parte più debole della vicenda, con una serie di finali che s'indeboliscono l'uno via l'altro: ma ciò poco toglie ad un'opera che affascina e si pone, sin d'ora, come materia d'interesse per futuri cinespigolatori curiosi ed attenti. 
                                                                                                                                     Francesco Troiano

FORZA MAGGIORE. REGIA: RUBEN OSTLUND. INTERPRETI: JOHANNES KUHNKE, LISA LOVEN KONGSLI, CLARA WTTERGREN, VINCENT WETTERGREN. DISTRIBUZIONE: TEODORA. DURATA: 118 MINUTI.