venerdì 30 ottobre 2015

45 anni

Kate e Geoff Mercer conducono una vita tranquilla nella campagna inglese: sabato, festeggeranno il loro 45° anniversario di nozze. I preparativi fervono, Kate è occupata in città a organizzare il rinfresco. A casa, frattanto, Geoff riceve una notizia inattesa: è stato ritrovato, in un ghiacciaio, il corpo intatto di Katya, la sua prima fidanzata finita dispersa durante un'escursione sulle Alpi svizzere, negli anni '60. L'uomo tenta di non far trapelare il turbamento che lo agita, rassicura Kate sul proprio stato d'animo e prova a minimizzare. Ma quest'ultima, profondamente scossa, comincia a scavare nel passato: fino a quando uno sconcertante segreto riemerge, compromettendo la loro serenità lungamente coltivata...

"Le canzoni d'amore sono stupide, e più sono stupide e più sono vere", diceva Fanny Ardant a Gérard Depardieu ne "La signora della porta accanto" (1981). La citazione ci è tornata alla mente dato che è "Smoke Gets in Your Eyes" a essere fil rouge di "45 anni", il bellissimo film di Andrew Haigh presentato a Berlino. Il brano musicale, scritto da Otto Harbach, è l'idea melodica del dramma senile messo in scena dal regista di "Weekend" (2011). Pellicola, fra l'altro, che ha punti di contatto con quest'ultima: entrambe s'interessano al carattere complesso dell'intimità fra due persone; ai rischi che comporta la scelta di esporsi emotivamente con qualcun altro; alla difficoltà di essere davvero onesti sulle proprie paure. Si è detto dell'aria che costituisce l'incipit e sancisce lo scioglimento di "45 anni" (ispirato, molto liberamente, a un racconto di David Constantine, "In Another Country"), perché sta a contrassegnare l'atto conclusivo di una coppia che, nel modo della canzone, mette in dubbio il proprio amore, fino ad allora indiscusso. 

A sabotar questo sentimento all'apparenza perfetto ve n'è un altro, travolgente e inalterato, per opera del cuore e del ghiaccio: Geoff ha finto che non esistesse più per calarsi dentro una vita ordinaria, per dimenticare un passato che, però, riaffiora con la pregnanza che talvolta acquista il rimosso.  Kate non accetta quel vuoto che s'è materializzato sotto forma di un cadavere congelato, vuole a qualsiasi costo sapere: dovrà ripercorrere a ritroso il cammino della coppia altra, andare indietro nel tempo alla fatidica gita in cui il destino del suo attuale marito ha trovato una svolta, tramite la cancellazione della memoriaImpeccabilmente messo in scena, scritto ed interpretato, 45 Years poggia sopra ad una drammaturgia precisa che scandisce, lungo i giorni di una settimana, le fasi della vicenda e notomizza tutti i fattori che condurranno al dissolvimento di equilibri in apparenza consolidati, magari celandosi all'uopo dietro ad un libro di Kierkegaard o ad una fuga di Bach. Di Kate e Geoff, che non possiedono neppure una foto di una vita trascorsa in comune, Charlotte Rampling e Tom Courtenay - già insieme in "Treno di notte per Lisbona" - sono tramiti impareggiabili, capaci di rendere nei minimi dettagli ogni emozione. La loro interpretazione - giustamente premiata al festival berlinese -  trova il proprio vertice nel finale, quando al ballo celebrativo Kate ascolta davvero, per la prima volta, la loro canzone: e tira indietro, con amara malinconia, mano e cuore, consapevole che la fiamma d'amore s'è spenta, lasciando solo fumo negli occhi.

                                                                                                                                     Francesco Troiano

45 ANNI. REGIA: ANDREW HAIGH. INTERPRETI: CHARLOTTE RAMPLING, TOM COURTENAY, GERALDINE JAMES, DOLLY WELLS. DISTRIBUZIONE: TEODORA. DURATA: 93 MINUTI. 

giovedì 29 ottobre 2015

Spectre

La Spectre è l'avversario principale di James Bond nelle sue prime avventure: si tratta di una misteriosa e ramificata organizzazione internazionale, impegnata in orrendi complotti e spaventosi piani di dominio globale. Ad esempio, nel primo episodio della serie filmica, "Agente 007 - Licenza di uccidere" (1962), essa tenta di deviare la traiettoria di un missile Mercury diretto sulla Luna; in "Thunderball - Operazione Tuono", intende rubare due bombe atomiche alla NATO per minacciare i governi americano e inglese di radere al suolo due grandi città della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, se in cambio non verrà data ad essa una cascata di diamanti (titolo, successivamente, di una delle pellicole meno riuscite della saga).

Era quasi inevitabile, quindi, che nell'operazione reboot del personaggio, iniziata quattro episodi fa con l'ottimo "Casino Royale" (ed il discusso Daniel Craig ad indossare i panni della mitica spia), tornasse il gruppo criminale che più ha caratterizzato il percorso in celluloide del nostro. Dunque, il restyling della serie si collega agli inizi, ed è proprio questo flashback il perno intorno al quale ruota la sceneggiatura. Per capirci, il film si diparte dalla vicenda lasciata in sospeso nel precedente - e superlativo - "Skyfall":
per soprammercato, l'invincibile eroe si trova a dover regolare  conti rimasti aperti con la Spectre. Tutto questo avviene giusto allorquando il MI6, cioè il servizio segreto britannico, rischia di venir smantellato da un nuovo capo che vuole rimpiazzare gli agenti con dei droni, istituendo un servizio di sorveglianza permanente.

L'azione prende il via a Città del Messico, durante la tradizionale Festa dei Morti, con uno dei prologhi più suggestivi mai veduti; prosegue a Roma, dove fa la sua comparsa Monica Bellucci nelle vesti della vedova di un potente malavitoso; dipoi ci si trasferisce in Austria, ed è la volta dell'entrata in scena per Madeleine Swann (Léa Seydoux), figlia di un antico nemico; infine, si va a Tangeri, ove s'appalesa il supernemico Franz Oberhauser (interpretato con la consueta, crudele morbidezza da Christoph Waltz). Non può mancare, pure, il mostruoso picchiatore di turno: qui si chiama Hinx ed affronta Bond in una movimentata scazzottata in treno, che rende tributo a quella di "Dalla Russia con amore"(1963).

Cos'altro? La varietà di scenari resta uno dei punti di forza del tutto, così come il budget elevato che consente sequenze quali quella iniziale già citata (uno strepitoso piano-sequenza, nel quale il titolato regista Sam Mendes ha modo di mostrare tutta la sua bravura), o l'inseguimento automobilistico tra la Aston Martin ultimo modello ed una potentissima Jaguar, destinato a concludersi con l'affossamento della prima nel Tevere. Tutto molto spettacolare, avvincente, adrenalinico. Un difetto? L'ipertrofia generale. Troppi minuti di durata (148'); troppi colpi di scena e personaggi; troppe trame e sottotrame che s'intersecano, ingenerando un qualche senso di sazietà, se non di confusione. Lo scopo, con ogni probabilità, è quello di offrire un tasso spettacolare che ponga il prodotto al di sopra dei limiti che le oggi ottime serie televisive non possono non soffrire. Ma la sensazione è che quello di 007 sia, ormai, solo un brand, e il risultato finale debba più ai vari "Mission Impossible" e "Bourne" che non all'idea primigenia. Col rischio che, negli spettatori meno giovani e negli appassionati, il ritmo rilassato, i toni ironici delle puntate con Sean Connery possano ingenerare una pungente sensazione di nostalgia.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

SPECTRE. REGIA: SAM MENDES. INTERPRETI: DANIEL CRAIG, LEA SEYDOUX, CHRISTOPH WALTZ, MONICA BELLUCCI. DISTRIBUZIONE: WARNER. DURATA: 148 MINUTI

mercoledì 28 ottobre 2015

La legge del mercato

Thierry è un buon marito e padre affettuoso di un figlio disabile al quale vuole dare tutte le possibilità, pure a costo di sacrifici. Dopo un quarto di secolo ha perduto il proprio lavoro, poiché la proprietà ha scelto di delocalizzare la produzione in un altro paese. Comincia, così, per lui, l'umiliante calvario dei colloqui di lavoro, dei curricula da presentare, d'esaminatori che ricorrono finanche allo streaming per evitare d'aver contatti con gli aspiranti. Alla fine, stretto dal bisogno, accetta di far il sorvegliante in un supermercato: ogni giorno gli tocca d'assistere alla pubblica umiliazione ed alle minacce di chiamare la polizia, rivolte perlopiù a gente mossa dalla necessità. Quando una cassiera viene licenziata per avere sottratto dei buoni premio, provocandone il suicidio proprio nel supermercato, egli finisce per trovarsi di fronte ad una scelta morale che non consente compromessi.

Coprodotto dal regista Stéphane Brizé, da Lindon e da Rossignon, con una rinuncia di buona parte del salario che ha consentito di pagare la troupe, "La legge del mercato" affronta di petto e con coraggio il tema della progressiva disumanizzazione in un mondo del lavoro dove la logica del profitto diviene di giorno in giorno più spietata: fino a lasciare sul campo dei cadaveri, pur con modi all'apparenza liliali. Lindon ha, inoltre, accettato di recitare in un cast composto in gran misura da non professionisti, scelti fra delle persone che nella quotidianità ricoprono le medesime mansioni che interpretano sullo schermo. Il modo in cui il film è stato realizzato, insomma, sembra volere suggerire - a principiare dalla tipologia produttiva - un modello economico che possa strutturarsi in modo differente.

Alla maniera dei fratelli Dardenne, il regista segue dappresso il protagonista per mostrarci quanto resti della dignità umana in individui mortificati dalla precarietà e dalla brutalità di un sistema che non teme di mostrare il proprio volto. In termini cinematografici, ne nasce un'opera che procede con gradualità, lasciando alla platea ogni giudizio. La situazione di Thierry è quella di tanti altri che si sono ritrovati sul lastrico soltanto perché, dietro la paroletta "delocalizzazione", sta acquattata la cinica scelta padronale di trasferirsi in un altro paese, dove si possono pagare salari risibili e non offrire tutele alla manodopera. La potenza del film sta nel mai andare sopra le righe, mostrandoci di contro il percorso di un uomo onesto e dotato di etica, in una macchina che richiede ormai d'esser complici od uscire dal processo produttivo. Lo scioglimento giunge come naturale sbocco, senza forzature: ed è merito di Vincent Lindon, premiato a Cannes per la propria prova, se il ritratto di Thierry risulta tanto penetrante, sincero, coinvolgente.

                                                                                                                                     Francesco Troiano

LA LEGGE DEL MERCATO. REGIA: STEPHANE BRIZE. INTERPRETI: VINCENT LINDON, YVES ORY, KARINE de MIRBECK. DISTRIBUZIONE: ACADEMY TWO. DURATA: 93 MINUTI.

martedì 27 ottobre 2015

Tutto può accadere a Broadway

Isabella "Izzy" Patterson, una call girl nata a Broadway che aspira a diventare un'attrice, durante una sera di lavoro al Barclay Hotel di Manhattan, conosce Arnold Albertson, affermato regista di cinema e teatro che sta per allestire un nuovo spettacolo a Broadway. Questo signore, dedito a una particolare forma di filantropia, le regala 30.000 dollari per combinare qualcosa d'importante nella vita: come le spiega, ci sono persone che vanno al parco per dare le nocciole agli scoiattoli. Ma perché, per una volta, non dare scoiattoli alle nocciole? Arnold è aduso a far cose del genere per una squillo: questa volta, però, ne scaturisce una catena di equivoci che muta l'esistenza di tutte le persone con le quali ha a che fare; a iniziar dalla moglie Delta Simmons, stella dello show, e dall'attore che deve affiancarla in scena, Seth Gilbert, che ha un'antica passione proprio per lei... 

Risale ad oltre due lustri or sono l'idea di questa screwball comedy - sceneggiata da Bogdanovich con Louise Stratten - che, in un primo momento, avrebbe dovuto intitolarsi "Squirrels to the Nuts", da una battuta di "Fra le tue braccia" di Lubitsch. Finita nel dimenticatoio per una serie di eventi, ne è sortita solo quando Wes Anderson e Noah Baumbach non si son offerti di esserne produttori, pel tramite del comune amico Owen Wilson. Peter Bogdanovich, cinefilo d'eccezione ancor prima che regista, ha così potuto tornare dietro la cinepresa per dedicarsi al suo genere preferito, quella commedia degli anni '30  di cui aveva dato un esempio pressoché perfetto già nel 1972, firmando "Ma papà ti manda sola?". Non mancano certi aggiornamenti, va precisato: come il nostro fa dire alla sua protagonista, "Memory is not a videocamera", esiste la libertà e l'errore; lo dimostra proprio Isabella, che ama non ritenersi una escort bensì una "musa", credere che andar a teatro voglia dire farsi sorprendere, e che il finale debba contenere un tocco di "rosa" (Audrey Hepburn dixit).

Se il già citato "Ma papà" partiva sulle note di "You're the Top" di Irving Berling, un classico tune di Cole Porter del 1934 ed un caldo invito a tornare indietro, nel cuore della decade che precedette la seconda guerra mondiale, per sorridere come allora, qui in chiusura c'è la "She's Funny that Way" di Daniels & Whiting (è il titolo originale), in omaggio alla deliziosa protagonista che ha dichiarato di credere "in miracles". Ma il segreto del film, più che nel blend agrodolce, sta nel ritmo senza tregua, dove situazioni alla Feydeau si susseguono scandite da battute umoristiche fulminanti: il carosello di equivoci che ne scaturisce fa pensare a talune recenti cose di Allen, a cominciare dalla struttura del racconto a flashback, ma poco importa ai fini dell'esito. La novella dea dell'amore Imogen Poots e la svitata Jennifer Aniston menano la danza all'insegna del divertimento puro: allo spettatore, non resta che deliziarsi per novanta minuti di fronte all'arte di questi superbi comedians ed al talento del loro ineguagliabile demiurgo.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

TUTTO PUO' ACCADERE A BROADWAY. REGIA: PETER BOGDANOVICH. INTERPRETI: OWEN WILSON, IMOGEN POOTS, JENNIFER ANISTON. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 93 MINUTI.

mercoledì 21 ottobre 2015

The Walk

Nel 2009, sul palco del Kodak Theatre, Philippe Petit afferrò l'Oscar che aveva appena ricevuto per il documentario "Man on Wire" e se lo sistemò sul mento, tenendolo in equilibrio. Non si trattò affatto di un gesto improvvisato, bensì d'una gag accuratamente preparata, facendo a lungo esercizio con una replica del medesimo peso: 4 chili. E' la miglior presentazione possibile per un artista che ha sfidato il pericolo di morire "volando" su alcuni dei luoghi più suggestivi dell'universo: la Tour Eiffel, Notre Dame, lo Harbour Bridge di Sydney, il Plaza Mikado Building di Tokyo e la Grace Cathedral di New York. Oggi sessantaseienne, espulso da 5 scuole e arrestato 500 volte, si definisce "famoso ma povero" e non s'è mai vergognato di girare con il cappello tra gli spettatori. Ha scritto, inoltre, una decina di libri, da "Why Knot?", un elogio dei nodi, a "L'art du pickpocket", una sorta di saggio sul borseggio.

Un personaggio del genere non poteva non suscitare interesse in un regista quale Robert Zemeckis, che - a tre anni di distanza dal bellissimo "Flight", a nostro avviso la migliore prova d'attore di Denzel Washington - mette in scena con "The Walk" (presentato alla Festa del Cinema di Roma) l'impresa che il funambolo francese riteneva il suo sogno: camminare per quasi un'ora, avanti ed indietro, sopra un cavo teso tra le Twin Towers di New York, a oltre 400 metri d'altezza senza protezioni. A guardarlo, in basso, la sua compagna, gli amici che hanno dato una mano, la polizia che l'attende per incarcerarlo,  la città e, poi, il mondo. Pare impossibile, ma il 7 agosto del 1974 Petit conferisce alla freddezza delle torri gemelle il tocco geniale dell'arte, mutando lo sguardo dei newyorkesi su di esse. Sino a che, l'11 settembre del 2001, qualcuno scriverà un nuovo spartito, all'insegna del terrore, consegnando quello spazio al nulla figliato dalla distruzione. 

Strutturato su due movimenti, il film ha una prima parte ambientata a Parigi, che sembra venuta fuori da un musical alla Stanley Donen: i protagonisti della storia si muovono in una sfera semifavolistica, ove la finzione prevale sulla realtà malgrado costumi e fotografia s'adoprino per andare in direzione opposta. Dipoi le cose mutano, e passato l'oceano la prospettiva si fa diversa: qui Zemeckis, a proprio agio maggiormente ed estendendosi su una dimensione spettacolare più ricca, scandisce la vicenda come un "caper movie", i film del "colpo grosso" ritornati di moda con la serie degli "Ocean". Le fasi della minuziosa preparazione, sino alla notte in cui i componenti del gruppo salgono in cima alle torri, vengono narrate creando un'ininterrotta suspense. Infine, la passeggiata sul vuoto e il magistero del cineasta hanno modo di fondersi, di apparire fatti della medesima materia, d'esser capaci di scandire i tempi con le loro regole particolari, di rubare il respiro a chi guarda. L'unica obiezione possibile è che la materia risulta forse troppo esigua, per un lungometraggio che si estende per la durata d'oltre due ore. Ma lo spettacolo c'è, i contributi tecnici sono eccellenti e il cast funziona a meraviglia, capitanato da un Joseph Gordon-Levitt capace d'immedesimarsi nel suo atipico eroe con una leggerezza - è il caso di dirlo - aerea.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

THE WALK. REGIA: ROBERT ZEMECKIS. INTERPRETI: JOSEPH GORDON-LEVITT, BEN KINGSLEY, JAMES B. DALE, BEN SCHWARTZ, STEVE VALENTINE, CHARLOTTE LE BON. DISTRIBUZIONE: WARNER. DURATA: 123 MINUTI.

domenica 11 ottobre 2015

Suburra

Siamo nella settimana compresa tra il 5 e il 12 novembre 2011: gli ultimi giorni prima della rovinosa caduta del governo Berlusconi. Attorno al progetto d'una grande speculazione edilizia, il Waterfront, nelle intenzioni destinato a trasformare il litorale romano in una novella Las Vegas, si muovono vari personaggi. Filippo Malgradi è un politico sprovvisto degli anticorpi necessari a chiunque appartenga alle alte sfere delle istituzioni per non diventare un corrotto. Sebastiano, figlio di un costruttore, ama la bella vita al punto da divenire un miserabile faccendiere che procura sia stupefacenti sia ragazze di facili costumi per individui benestanti. Samurai, l'ultimo della banda della Magliana, è un potente boss già terrorista nero che tiene le fila della malavita a Roma ed è in grado di arrivare a chiunque. Dipoi Numero 8, rampollo d'una famiglia di criminali, gestisce il territorio di Ostia e più di tutti freme per far della propria zona il centro del divertimento e del riciclaggio del denaro sporco. A completare il quadro vi sono pure Sabrina, un'avvenente escort; Viola, la ragazza tossicodipendente di Numero 8; Manfredi, capo di un pericoloso clan di zingari.

Realizzato con una certa disponibilità di mezzi, a iniziare da un cast di prim'ordine, "Suburra" prende spunto dal romanzo omonimo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo (edito da Einaudi), per narrare una Roma criminale da basso Impero, in cui una fetta di politica, gang di fuorilegge e il lato in ombra del Vaticano procedono di pari passo, creando un viluppo inestricabile. Dovendo fare delle scelte, il regista Stefano Sollima - assieme agli sceneggiatori Stefano Rulli, Sandro Petraglia e Giancarlo De Cataldo - ha soppresso la figura del carabiniere Marco Malatesta, estremista di destra prima di passare a servire lo Stato, che indaga sul dilagare della corruzione e sulla violenza ormai endemica nella Capitale. In assenza di un epicentro attorno al quale far ruotare le diverse storie, essi hanno preferito restituire la materia quasi in presa diretta, optando per una struttura fortemente corale.

Il risultato è un film accattivante, a tratti travolgente, dove la concatenazione degli eventi porta a un ritmo forsennato e tiene lo spettatore continuamente con il fiato sospeso. Sotto quest'aspetto, chi da "Suburra" si attendeva un grande spettacolo, non potrà non ritenersi soddisfatto. Tuttavia, tanta enfasi comporta anche degli effetti negativi: malgrado le oltre due ore di proiezione, molti nessi sfuggono, le ellissi risultano acrobatiche e le motivazioni dei personaggi appaiono evidenti solo riferendosi ai loro cliché. Quello che delude davvero, in ogni caso, è la totale assenza di collegamenti tra quel momento storico ed il presente: una opzione singolare, dato che le cronache degli ultimi tempi avrebbero fornito materia e ragioni per una scelta differente. In definitiva, la pellicola s'inserisce con dignità nel filone del noir nostrano (però, facendo rimpiangere non poco la secchezza d'un Fernando Di Leo), scansando il cinema d'impegno civile od una qualunque lettura "impegnata". Un peccato, perché Sollima aveva già dimostrato con il precedente "ACAB" di avere una personalità d'autore non riconducibile a canoni del passato, e di essere in grado d'osare di più. Tra gli attori, in un gruppo affiatato di professionisti, piace segnalare le prove dell'ottimo Alessandro Borghi (visto di recente, in un ruolo similare, nel bellissimo "Non essere cattivo") e di Greta Scarano, capace di lasciare il segno finanche con poche, intense scene.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

SUBURRA. REGIA: STEFANO SOLLIMA. INTERPRETI: PIERFRANCESCO FAVINO, ELIO GERMANO, CLAUDIO AMENDOLA, ALESSANDRO BORGHI, GRETA SCARANO. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 130 MINUTI.

lunedì 5 ottobre 2015

Much Loved

Noha, Soukaina e Randa sono tre donne marocchine (dipoi si unirà a loro Harama, una ragazza arrivata dalla campagna dopo essersi accorta d'attendere un bimbo dal fidanzato che l'ha lasciata): per campare -e per essere libere - vendono i loro corpi. Non è facile sopravvivere nei cupi mercati della carne, corrotti e pericolosi, di Marrakech: le quattro si sostengono vicendevolmente nella loro lotta quotidiana. La loro vita professionale comincia la notte, quando escono di casa per andar a dei party organizzati perlopiù da nababbi sauditi dove, dopo aver bevuto, danzato e fumato hashish, soddisfano i capricci dei loro clienti,  talvolta subendo gravose umiliazioni (i viziosi signorotti, ad esempio, gettano per terra i bigliettoni del compenso col solo gusto di vederle strisciare per raccoglierli). Il giorno trascorre spento ed assopito, in comodi pigiami, con il rumore di sottofondo della tv costantemente accesa e qualche scaramuccia che non manca d'accendersi nell'atipico gineceo...

Oggetto di una stizzita polemica in patria, per le esplicite scene erotiche e per il linguaggio d'estrema crudezza, "Much Loved" è stato subito messo al bando, prima ancora di venire visionato dall'apposita commissione preposta ad autorizzare l'uscita dei film: la proiezione è stata vietata in quanto ritenuta "un grave oltraggio ai valori morali e alla donna marocchina", nonché "all'immagine del paese". Vi sono state, addirittura, da parte dell'opinione pubblica, richieste di pena di morte per il regista Nabil Ayouch, mentre Loubna Avidar - l'attrice che interpreta Noha - ha ricevuto delle intollerabili minacce. "E' stata soprattutto la violenza verbale che provocato la censura" ha detto Noureddine Sail, direttore del Centro cinematografico marocchino. Eppure il Marocco ha fama di essere un paese liberale, quanto meno nei confronti dei diritti femminili; addirittura all'avanguardia quando si parla di sesso, amore e matrimonio. Il sospetto è che di miseria, non si possa parlare: basti pensare che un capolavoro della letteratura locale, "Il pane nudo" di Mohamed Choukri, è stato proibito fino al 2000 per aver raccontato la paura, il quasi obbligato comportamento brutale dei poveri e la violenza poliziesca.

Sotto la scorza audace e le spinte ribellistiche, "Much Loved" è una pellicola che tratta della mancanza di amore: nelle vite delle protagoniste non v'è, non vi sarà mai spazio per un sentimento, sognato nelle telenovelas televisive o immaginato nel desiderio di qualcuno che si prenda cura di loro in quanto esseri umani. Pur se con l'ingrato lavoro che fanno, danno da mangiare alle loro famiglie, non sono da esse amate perché il loro è un denaro haram, impuro, con tutti i conseguenti sensi di colpa che le tormentano. Nell'orchestrare un coro a più voci e dipingere un "ritratto di signora" atipico ed affettuoso, Ayouch dà spazio alle sue attrici che incarnano personaggi memorabili: nel cinema non mancano figure di meretrici dal gran carattere (basti pensare alla Melina Mercouri di "Mai di domenica" di Jules Dassin), tuttavia il coraggio con cui queste interpreti si lasciano ritrarre sorprende e commuove; a cominciare dalla superba Louna Abidar, sospesa mirabilmente tra la forzosa gioia orgiastica richiesta dal proprio mestiere ed una malinconia che non è affatto - come sosteneva, carico d'ottimismo, Victor Hugo - la felicità d'esser tristi.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

MUCH LOVED. INTERPRETI: LOUBNA ABIDAR, ASMAA LAZRAK, ALIMA KARAOUANE, SARA ELMHAMDI ELALAOUI, ABDELLAH DIDANE. DISTRIBUZIONE: CINEMA. DURATA: 103 MINUTI.