martedì 19 marzo 2013

Benvenuto, presidente!

In un piccolo paese di montagna vive Giuseppe Garibaldi (Claudio Bisio), per gli amici Peppino. Appassionato di pesca, amante della buona compagnia e bibliotecario di mestiere, è una persona semplice e gentile. Il suo ingombrante nome, però, un giorno lo caccia in una situazione imprevista: per un assurdo coincidere di cose, egli viene per sbaglio eletto Presidente della Repubblica. Condotto a Roma, rasato e ripulito a dovere, è sul punto di rinunciare volontariamente alla carica, quando all'improvviso si accorge di quanto marcio lo circondi. Così, con il proprio spirito giocoso e una certa dose di candore, uniti a un pizzico di buon senso, accetta la sfida: accanto a lui, c'è l'inflessibile quanto affascinante Janis Clementi (Kasia Smutniak), Vice Segretario generale. L'impresa, all'inizio, pare improba; ma, col trascorrer del tempo, la vena di follia che muove certe decisioni del Capo dello Stato si svela giovevole, e certo assai apprezzata dal popolo...

E' la seconda volta, nel giro di breve tempo, che il cinema italiano affronta l'argomento della politica con una sorta di racconto morale: dapprima è stato il turno di "Viva la libertà" a partire dall'omonimo romanzo di Roberto Andò, portato su grande schermo dall'autore stesso; adesso tocca a "Buongiorno, presidente!", che s'inscrive in maniera più diretta nella tradizione della commedia indigena. Il regista, Riccardo Milani, aveva fra le mani un soggetto di Nicola Giuliano (assai bene sceneggiato, va detto, da Fabio Bonifacci), cui ha conferito il sapore di una favola aggraziata e, nondimeno, mordace. A differenza che in "Oltre il giardino" (1976), ironica e pungente satira della società statunitense però su tutto racconto acronotopico sull'assurdità del potere, qui i riferimenti all'attualità sono continui,
pur se poco circostanziati (è il principale difetto del film, troppo generico per esser davvero efficace).

Il risultato rimane singolare, in ogni caso: fatta salva la parentesi della passione erotica tra Bisio e la Smutniak, francamente pleonastica, il resto si segue con piacere, sorridendo sovente e, talvolta, annuendo con amarezza. Per la maggior parte del tempo lodevolmente controllato, Bisio appare credibile nella parte (va sopra le righe soltanto nella scena della marcia dei bersaglieri, che poteva venir magari limata), e la Smutniak si rivela, a sorpresa, una commediante di talento. Si aggiunga l'assenza di volgarità, l'attenzione anche ai ruoli di contorno (Omero Antonutti è irresistibile, nei panni del Segretario Generale del Quirinale); e si comprenderà perchè "Buongiorno, presidente!" va considerato tra gli esiti migliori di un'annata ove la nostra cinematografia, per certo, non ha brillato.
                                                                                                                                  Francesco Troiano

BUONGIORNO, PRESIDENTE! REGIA: RICCARDO MILANI. INTERPRETI: CLAUDIO BISIO, KASIA SMUTNIAK, OMERO ANTONUTTI, GIUSEPPE FIORELLO, REMO GIRONE, MASSIMO POPOLIZIO. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 100 MINUTI.

giovedì 14 marzo 2013

Gli amanti passeggeri

Un guasto tecnico - figlio d'una negligenza possibile, tuttavia assai pericolosa - mette a rischio la vita dei passeggeri del volo 2549 della compagnia Peninsula, diretto a Città del Messico. Gli assistenti di bordo ed il responsabile di cabina, pure se presi dalle loro vicende personali, si sforzano di mettere a loro agio i passeggeri, comprensibilmente angosciati dalla situazione. Tra di essi, c'è una coppia di novelli sposi, sfiniti dai bagordi nuziali; un finanziere allo stesso tempo truffatore privo di remore e padre alla ricerca della figlia, che non vede da tantissimo tempo; un seduttore impenitente, intento a scaricare talune conquiste muliebri; una veggente di campagna, tormentata dal problema di una verginità della quale vuole, al più presto, liberarsi; infine, una protagonista della cronaca rosa e un messicano che pare celare un grande segreto. L'alchimia che si scatena tra tutte queste persone si muove tra improbabili drammi e rivelazioni a sorpresa, fino a uno scioglimento sbilencamente lieto.

Due sono, com'è noto, le corna dell'arte di Pedro Almodovar. Da una parte, v'è l'edificatore di storie agrodolci, nelle quali ai toni da tragedia vien messa la sordina d'una leggerezza che rende la materia quasi impalpabile: il percorso che ha trovato una prima, provvisoria sistemazione nell'affascinante "Il fiore del mio segreto" (1995) per toccare l'apogeo in "Volver"(2006), ricapitolazione delle tematiche sue - la superiorità delle donne, la solidarietà di classe e di sesso, la pleonasticità del maschio - mescolate e sciorinate con maestria ineguagliabile. Dall'altra, il nostro possiede una vena di divertito narratore "morale", alla base di certe commedie degne di quelle classiche hollywoodiane - l'esempio più azzeccato resta quello di "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" (1987) - e dei migliori cineasti del "genere", da George Cukor a Billy Wilder.

Non più captato da anni, questo secondo versante ritorna prepotentemente ne "Gli amanti passeggeri", in tutto e per tutto strizzante l'occhio ad una "prima maniera" che pareva, oramai, abbandonata in maniera definitiva. Qui siamo, per capirci, dalle parti di "Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio" (1980), suo lungometraggio d'esordio, di cui vien fatta rivivere l'allegra strafottenza, le divertite provocazioni sessuali, il gusto per l'intrigo piccante e arzigogolato. Ci saranno, non ne dubitiamo, recensori pronti a storcere il naso, a parlare di regressione e carenza d'idee. Sicuro, "Gli amanti passeggeri" non resterà fra i capi d'opera del regista manchego: oltre a tutto, l'inevitabile dimensione claustrofobica non giova a dar aria al plot. Tuttavia, ci piacerebbe trovare qualcun altro capace di dirigere così felicemente il concertato degli attori, pungere con le batture, tener alto il ritmo per tutto il tempo: né mancano momenti - come quello del ballo dei tre assistenti di volo, sulle note di "I'm so excited" delle Pointers Sisters - destinati a diventare di culto. Insomma, se vi diranno che è un Almodovar minore, non credeteci: c'è più divertimento qua che nell'intiera saga, stralodata quanto sopravvalutata, degli "Airplane!".
                                                                                                                                   Francesco Troiano

GLI AMANTI PASSEGGERI. REGIA: PEDRO ALMODOVAR. INTERPRETI: ANTONIO DE LA TORRE, HUGO SILVA, JAVIER CAMARA, GUILLERMO TOLEDO, BLANCA SUAREZ. DISTRIBUZIONE: WARNER BROS. DURATA: 90 MINUTI.

mercoledì 6 marzo 2013

La frode

Sta per compiere 60 anni, Robert Miller - e la sua sembra un'esistenza davvero invidiabile: magnate dell'industria, a capo di un vero e proprio impero finanziario, egli ha anche una splendida famiglia. Ma non è tutto oro quel che riluce: messo a terra da una speculazione rivelatasi calamitosa, l'uomo sta cercando di vendere ad una grande banca, prima che le frodi da lui perpetrate nel corso degli anni vengano alla luce. A complicare ulteriormente le cose, egli causa un incidente automobilistico nel quale perde la vita Julie (Laetitia Casta), la sua amante. Nel tentativo di restar fuori dalla cosa, finisce senza volerlo a fare ricadere la responsabilità su un giovane afroamericano legato al suo passato: per soprammercato, non può evitare che la sua brillante figlia ed erede Brooke prenda coscienza della disinvolta gestione del denaro da lui messa in opera. Oramai alle strette su tutto, tampinato dal detective della NYPD Michael Bryer (Tim Roth), Miller deve trovar un modo per evitare che la sua vita vada a fondo.

Al tempo di "Occupy Wall Street", una vicenda come quella narrata ne "La frode"può essere utile a comprendere certi meccanismi dell'alta finanza, le loro dinamiche, infine la scaturigine. Si tratta di argomenti che Hollywood ha affrontato assai di rado: viene in mente un classico come "Wall Street" (1987), ovviamente, col superlativo e survoltato ritratto di Gordon Gekko, coniatore della massima "Il danaro non dorme mai"; od un piccolo film quale "L'imbroglio" (2006) di Lasse Hallstrom, incentrato su quel Clifford Irving assurto ad immeritata popolarità per aver scritto una (falsa) autobiografia di Howard Hughes. Anche lì, come ora in questa pellicola d'esordio del documentarista Nicholas Jarecki (autore pure della sceneggiatura), nei panni del protagonista c'era Richard Gere.

Il suo personaggio, tarantolato dal demone del guadagno eppure non privo di residua umanita, è qui più complesso e tormentato di quanto appaia; il drammatico scambio di battute con la figlia - quando egli le rivela come il produrre soldi senza apparenti limiti lo faccia sentire simile ad un dio - possiede echi addirittura dostoevskjani. In generale, la parabola del film ha la struttura di un racconto morale: inverando l'assioma di Balzac, "dietro ogni grande fortuna c'è un crimine", veicola, inoltre, l'adulto rifiuto d'un lieto fine. Insomma, pur se siamo lontani dalla potenza del Tolstoj de "La cedola rubata", ove il rapporto fra il danaro e il male era dato per inestricabile, "La frode" possiede un rigore invero poco comune. Concentrato ed intenso, Gere fornisce la propria miglior prova delle sue più recenti stagioni; nel ruolo della consorte, Susan Sarandon gli dà la replica con la consueta autorevolezza.
                                                                                                                                    Francesco Troiano

LA FRODE. REGIA: NICHOLAS JARECKI. INTERPRETI: RICHARD GERE, SUSAN SARANDON, TIM ROTH, LAETITIA CASTA, BRIT MARLING. DISTRIBUZIONE: M2 PICTURES. DURATA: 107 MINUTI. 


martedì 5 marzo 2013

Il lato positivo

Dopo aver trascorso otto mesi in un ospedale psichiatrico, Pat torna a una vita nella quale ha perduto tutto: lavoro, compagna, casa. Oggi, pur ufficialmente guarito, dà fuori di testa ogniqualvolta ascolta "My Cherie Amour", il motivo eseguito al suo matrimonio, che suonava pure quando ha scoperto la propria donna sotto la doccia con un altro (da lui pestato a sangue: di qui la ragione della cella prima, del ricovero riabilitativo poi). Non privo d'ottimismo, egli s'illude di riuscire a riconquistare la sua ex. Nel frattempo, i genitori sperano che egli ritrovi la serenità: magari, ricuperando la vecchia passione per la squadra di football locale, i Philadelphia Eagles, della quale pure il padre - che fa l'allibratore - è sfegatato tifoso. A smuovere acque tutto sommato stagnanti, giunge improvvisa Tiffany: da poco rimasta vedova per uno sciagurato incidente, ha reagito alla disgrazia adagiandosi nella ninfomania, sino a perdere l'impiego e ad approdare alla depressione. Uniti dallo sguardo sghembo che si trovano a posare sul reale, i due stringono un bizzarro sodalizio, cementato da una gara di ballo: ma l'approdo sarà più importante, per entrambi, d'un improbabile overnight success...

Regista atipico, David O.Russell. Fino al recente "The Fighter", ben pochi s'erano accorti di lui: pure se, nella sua breve filmografia, c'è almeno "Three Kings" (1999), film su scenario di guerra corrosivo e pungente come pochi, ad assegnargli fama di cineasta sui generis. Quella di dirigere una commedia poco comune è sempre stata una fissazione sua, inseguita con pervicacia nel corso degli anni: gli esiti, da "Amori e disastri" (1996) a "I love Huckabees"(2004), non gli avevano, finora, dato ragione. Le 8 nomination all'Oscar ottenute da questo "Il lato positivo" testimoniano che, stavolta, il nostro ha fatto invece pieno centro: pure se l'unica statuetta è andata a Jennifer Lawrence (l'avevamo già vista in "Un gelido inverno"), strepitosa protagonista dentro un cast che fa scintille (riluce accanto a lei Brendan Fraser, ad esempio, e De Niro - dopo tanti piccoli, scadenti ruoli di contorno - è, qui, impeccabile).

Romcom assai più peculiare di quanto a prima vista possa sembrare, "Il lato positivo" appartiene al genere che negli Usa è denominato "feelgood movies": cioè, quei film concepiti per far stare bene, pur se passando per strade nient'affatto prevedibili. Qualche esempio? "Voglia di tenerezza" (1983), ove la commedia non rifugge d'affrontare il tema del cancro; o "Qualcosa è cambiato" (1997, come l'altro firmato da James L.Brooks), in cui al centro del plot c'è un personaggio razzista, misantropo, omofobo. La bravura dei registi consiste nell'affrontar la materia con una partecipazione che mai si fa condiscendenza: ci avvicinano, in breve, alle figure rappresentate, ci consentono di affezionarci a loro facendoci comprendere che essi patiscono per problemi meno lontani di quel che riteniamo. In codesto processo d'identificazione conta parecchio la bravura degli attori, che qui - come s'è detto - sono al meglio: importante, pure, la sceneggiatura, che nella fattispecie adatta bene il romanzo di Matthew Quick "L'orlo argenteo delle nuvole" (Salani). Come a dire: anche se il maltempo infuria, a guardar bene qualcosa di buono c'è. Per una volta, ci fa piacere crederlo; e fingere, di conseguenza, che il conclusivo omnia vincit amor non sia una formula apotropaica per farci andar via contenti.
                                                                                                                                    Francesco Troiano

IL LATO POSITIVO. REGIA: DAVID O.RUSSELL. INTERPRETI: BRENDAN FRASER, JENNIFER LAWRENCE, ROBERT DE NIRO, CHRIS TUCKER. DISTRIBUZIONE: EAGLE. DURATA: 117 MINUTI.