lunedì 26 maggio 2014

Incompresa

1984. Aria è una bambina di nove anni, che vive con i genitori e ha due sorellastre: Lucrezia, figlia di primo letto del padre, e Donatina, figlia di primo letto della madre. Il babbo è un attore assai noto, la  mamma una famosa pianista: le liti fra i due sono continue, pure a causa della tensione provocata dagli stressanti lavori che fanno. Aria soffre di quest'atmosfera scomposta e rancorosa, si prodiga in ogni modo per trovare una collocazione affettiva che la faccia sentire sicura, senza successo. Allorquando essi si separano, le cose peggiorano ulteriormente e lei si ritrova a far la spola tra le loro case, con la sua valigetta rosa e la gabbia col gatto. L'innamoramento per un coetaneo che la ignora e, alla fine, si fa beffe di lei, come l'amicizia con una compagna di scuola, aggiungono solo mortificazioni: sino a che viene sfiorata la tragedia...

Al suo terzo lungometraggio, Asia Argento affronta di petto una materia autobiografica le cui tracce erano affiorate, qui e là, nelle sue fatiche passate: qualcosa, per dire, c'era già in "Zoo" (1988), esordio di Asia nella recitazione; mentre nella sua precedente prova da regista, "Ingannevole è il cuore più di ogni cosa" (2004), al centro del racconto trovavamo gli abusi subiti da un bambino ad opera della giovane madre snaturata. In "Incompresa", finalmente, la cineasta romana prende di petto l'argomento che le preme tanto, inscenando i patimenti d'un personaggio che si chiama Aria Bernadotte (papà Dario Argento adoperava Sirio Bernadotte quale pseudonimo), con una genitrice denominata nella finzione Yvonne Casella (il cognome della nonna da parte di sua madre, Daria Nicolodi). Insomma, i riferimenti a fatti e situazioni nella vita di Asia non potrebbero essere più precisi (compreso un arresto per detenzione di stupefacenti della mamma filmica), ma paiono tuttavia fuori luogo le molte domande personali che gli intervistatori le hanno posto: ingenerose, inoltre, ché ella ha infine realizzato una versione femminile e aggiornata del classico "Incompreso" (1966) di Comencini, esplicitamente citato.

Quel che risulta maggiormente interessante, piuttosto, è il tema che davvero sta a cuore all'autrice: la necessità di conservare una purezza nelle situazioni più difficile, persino estreme, dell'esistenza. Ed è qui che la pellicola gioca le sue carte migliori: la piccola Aria - meravigliosamente impersonata da Giulia Salerno - attraversa le disavventure, le peregrinazioni quotidiane pressoché indomita, pur nel dolore, e rimane se medesima, finanche nel gesto disperato che chiude la vicenda. Funestato dalla recitazione  di alcuni (un Gabriel Garko caricaturale: magari lo si è voluto così; più misurata Charlotte Gainsbourg, comunque su di un registro troppo alto) e penalizzato da una sceneggiatura deficitaria, "Incompresa" trova le pagine più convincenti nelle scene collettive, a scuola e nella festa da ballo; qui, il paragone con il Truffaut aspro sino alla crudeltà de "I 400 colpi" (1959) appare nient'affatto abusato. Dietro la macchina da presa, in definitiva, Asia Argento continua a suscitare interesse ed emozione (la buona accoglienza del film a Cannes ne dà conferma): speriamo che, per il futuro, ella decida in detto ruolo di cimentarsi più spesso, magari trascurando una carriera di attrice da tempo carente di acuti.

INCOMPRESA. REGIA: ASIA ARGENTO. INTERPRETI: GIULIA SALERNO, GIANNI GARKO, CHARLOTTE GAINSBOURG, ANNA LOU CASTOLDI, MAX GAZZE'. DISTRIBUZIONE: GOOD FILMS. DURATA: 103 MINUTI.

martedì 20 maggio 2014

Le meraviglie

In un campo dell'antica Etruria, dentro un casale ai confini tra l'Umbria e il Lazio, vive una famiglia di apicultori il cui capo - anche se, di fronte all'ufficialità, egli rifiuta la definizione - è il tedesco Wolfgang; lo affianca la moglie Angelica, capace di gestire assai bene fatica e pazienza, di vedere più lontano e meglio di tutti. Hanno quattro figlie: la primogenita è Gelsomina, un'adolescente introversa e sensibile che anela ad affacciarsi alla vita, a staccarsi per forza di natura da un universo che, pure, ama. La trattiene un padre imperativo e operaio, un poco al modo delle sue api, che guarda a lei ancora come a una bimba. Il loro tempo, scandito dall'alternarsi delle stagioni e dall'impollinazione delle api mellifere, viene segnato da due eventi:  l'arrivo di Martin, un ragazzino tedesco dal passato problematico che ha da seguire un itinerario di reinserimento, e quello di una troupe della televisione, sul luogo a reclutare dei personaggi per il programma "Il paese delle meraviglie". Il fascino che emana dalla conduttrice tv e dall'adolescente straniero che s'esprime senza parole apporteranno novità all'esistenza di Gelsomina, mentre l'estate sta finendo e un anno se ne va...

L'esegeta cinematografico per eccellenza delle stagioni verdi, Truffaut, sosteneva che "l'adolescenza lascia un buon ricordo soltanto agli adulti che hanno una pessima memoria": chissà, la frase potrebbe esser posta in esergo a questa magnifica opera seconda di Alice Rohrwacher. Non che un risultato del genere possa dirsi inatteso: tre anni fa, "Corpo celeste" aveva suscitato un'impressione tanto forte da lasciar presagire un esito simile. Convinceva, lì, la capacità della giovane regista di tramutare un'opera di fiction in una selvaggia indagine antropologica: i riti ed i miti di un paesino della Calabria vi erano notomizzati con cura attraverso lo sguardo ancora vergine d'una ragazzina, adatto a evidenziar quanto le persone abbiano subito una sorte di mutazione antropologica. Di seguito, la decisione della 13enne Marta d'allontanarsi, optando per un che di diverso e di meno contaminato.

Pure in "Le meraviglie", tutto è visto pel tramite di occhi acerbi, quelli di Gelsomina. E' lei la cartina di tornasole, è lei che fa emergere quanto di sopraffattorio alberga in una situazione che, dall'esterno,  parrebbe idilliaca e pittoresca (proprio come viene descritta nella forte sequenza della diretta per il piccolo schermo: in cui le ragioni d'avversione di Wolfgang per quel che, illusorio, presto si mostra ingannevole, trovano ragione piena d'essere). Tutta la prima parte, di sapore documentaristico, mostra un'utopia di serenità e pace che in realtà è un lavoro pesante e rischioso, nel quale un secchio di miele conta ben più d'una ferita alla mano, la fatica d'un anno può essere distrutta dall'uso dissennato di un pesticida. Gli è che, in luogo della gioia, tutto nasce per certo da delusioni: da fallimenti inconfessati, da passati pervasi di sogni e falò, da rabbie inespresse. La distanza fra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi è, nuovamente, evidenziata con maestria, lasciando che a parlare siano le cose, gli alberi, la terra, il vento: o la presenza d'un cammello, incredulo per primo d'esser lì. Gli interpreti eccellono per misura e aderenza: ma se il grande talento di Alba Rohrwacher non ha da essere disvelato, lascia di stucco la padronanza di Maria Alexandra Lungu, che fa di Gelsomina un personaggio indimenticabile.
                                                                                                                                     Francesco Troiano



LE MERAVIGLIE. REGIA: ALICE ROHRWACHER. INTERPRETI: ALBA ROHRWACHER, MONICA BELLUCCI, SAM LOUWYCK, MARIA ALEXANDRA LUNGU. DISTRIBUZIONE: BIM. DURATA: 110 MINUTI.

martedì 13 maggio 2014

Godzilla

L'originario Godzilla nasce in contrapposizione al grande successo che il cinema statunitense di mostri stava avendo in epoca di guerra fredda (ad esempio, la riedizione del classico "King Kong", nel 1952,  frutta ben tre milioni di dollari e apre la strada a una serie di sottoprodotti regolarmente ben accolti dal pubblico di tutto il mondo). E' nel 1954 che il produttore della Toho Tomoyuki Tanaka progetta un film d'imitazione, assoldando alla bisogna lo scrittore di fantascienza Shigeru Kayama: il nome trovato per la creatura mostruosa è Gojira (termine anglo-nipponico, crasi di gorilla e "Kujira", balena). Alla regia è chiamato Ishiro Honda, preceduto dalla stima di Kurosawa: la pellicola ch'egli dirige ottiene risonanza enorme, spingendo la Paramount a distribuirla in tutto il mondo e divenendo pure capostipite d'una serie interminabile di seguiti e d'imitazioni.

A sessant'anni dal prototipo, era prevedibile che una cinematografia a corto d'idee pensasse a un reboot: già, perché nel '94 la pensata era stata sfruttata da Roland Emmerich per un'operazione non spregevole, ma con troppa evidenza ispirata dalla voga della preistoria innescata dai trionfi al botteghino di "Jurassic Park"(1993). A dirigere il tutto stavolta è chiamato Gareth Edwards, che aveva impressionato in modo positivo, nel 2010, con la piccolissima produzione di "Monsters" (circa 800mila dollari di budget): qui, in ballo, ci sono 150 milioni di dollari - messi a disposizione dalla Warner - ed un cast di prim'ordine, da Ken Watanabe a Juliette Binoche. Basato su  di una sceneggiatura di Max Borenstein ed un soggetto di David Callham, il film fa scontrare la leggendaria bestia con feroci creature figliate dall'arroganza del potere e dalle ambizioni smisurate della scienza.

Operando con assoluta libertà, Edwards si è trovato di fronte ad un solo limite imposto dalla Toho: che venisse rispettata l'origine nucleare della creatura. A tal pro, prima che scorrano i titoli di testa, s'assiste a una scena in cui se ne intuiscono le origini; dipoi, veniamo catapultati al 1999, nella base nucleare di Janjira, ove il fisico Joe Brody e la moglie Sandra cercano di limitare le conseguenze d'una situazione di emergenza. Tre lustri dopo, sarà proprio lo scienziato - assieme a suo figlio Ford, tenente dell'esercito - a cercare di salvare l'umanità dal terribile pericolo che incombe su di essa. Quel che segue è un tripudio d'effetti speciali, ben costruiti per produrre una suspense ininterrotta: gli appassionati avranno quindi di che gioire, data pure l'efficacia del 3D. Una cert'aria da serie B, a scorno della magniloquenza, serve a non prendersi troppo sul serio: ciò non toglie che, sulla distanza delle due ore, un senso di saturazione   - o, quanto meno, di deja vu - faccia capolino. La stringatezza del modello, che si fermava ad un'ora e mezzo, avrebbe dovuto suggerire qualcosa...
                                                                                                                                     Francesco Troiano

GODZILLA. REGIA:GARETH EDWARDS. INTERPRETI: ELIZABETH OLSEN, BRYAN CRANSTON, AARON TAYLOR-JOHNSON, SALLY HAWKINS, JULIETTE BINOCHE, KEN WATANABE, DAVID STRATHAIRN. DISTRIBUZIONE: WARNER. DURATA: 119 MINUTI.

mercoledì 7 maggio 2014

Alabama Monroe - Una storia d'amore

Elisa è una tatuatrice, e copre ogni volta sul proprio corpo il nome degli amori passati tramite un nuovo disegno; Didier suona il banjo ed è cantante in un gruppo belga di musica bluegrass, infatuato del mito dell'America rurale. Paiono incompatibili, allorquando s'incontrano; e invece l'amore esplode repentino, rafforzato dal reciproco riconoscersi come degli outsider in un Paese conformista e ordinario. Dipoi c'è la passione per la musica, che conduce lei a entrare nell'ensemble. Dopo aver vissuto insieme stagioni felici, Elisa decide d'avere prole: nasce la piccola Maybelle e Didier, dapprima perplesso e contrariato da un avvenimento che non aveva messo nel conto delle possibilità, s'impegna nel ruolo del genitore con tutte le forze. Ma, quando ogni cosa sembra essersi messa bene, alla piccina viene diagnosticata una malattia incurabile...

Felix Van Groeningen, il regista fiammingo di Alabama Monroe, opta da subito per il mélo. Se ne è consapevoli dall'inizio, ché la storia dei protagonisti viene raccontata a partire dal tragico evento del cancro toccato in sorte a Maybelle, alternando il tempo del dolore assoluto ai giorni della passata felicità, con un effetto di struggente coinvolgimento. Elisa e Didier vengono chiamati, giusto come accade in tanti brani bluegrass (il titolo originale, "The Broken Circle Breakdown", allude alla classica "Will The Circle Be Unbroken", cavallo di battaglia della Nitty Gritty Dirt Band, eseguita in vari momenti), a vivere sino in fondo la propria pena, senza potervisi sottrarre. Alla prova definitiva della morte della bimba, i due reagiscono in modi assai differenti: Elisa si rifugia nell'illusione che qualche cosa della figlioletta possa sopravvivere, Didier invece maledice con furia i divieti cattolici sull'uso delle cellule staminali di matrice statunitense. E' qui che il loro legame s'infrange: la donna decide di farsi chiamare Alabama Monroe - il cognome è quello dell'imperatore indiscusso del bluegrass - e di imprimerselo sul corpo, a cancellare il ricordo di Didier.
 
In una pellicola del genere, iI rischio è quello di sconfinare dalla categoria del commovente a quella del retorico: se ciò non avviene, è per merito in primo luogo dell'avvedutissima regia, che non sopprime la rappresentazione della sofferenza ma non v'indulge più di tanto, alleggerendo la vicenda con il via vai tra passato e presente. Infine, i due attori principali si calano nei rispettivi personaggi con uno slancio, un trasporto raramente veduti nel cinema recente. Johan Heldenbergh - che è pure autore della pièce teatrale da lui diretta in palcoscenico, su cui è basato il film - dipinge Didier come un individuo mosso da animal spirits prorompenti, nel miglior senso del termine, che si trasformano in distruttiva negatività quando tutto lo travolge; quanto a Veerle Baetens, vincitrice dello European Film Award per il ruolo di Elise, è superba nel dar vita ad una creatura nell'intimo profondamente fragile. Principale concorrente de "La grande bellezza" nella corsa all'Oscar per il miglior film straniero, "Alabama Monroe" certo non avrebbe usurpato la vittoria: in ogni caso, è opera destinata a restare nella memoria dello spettatore.

ALABAMA MONROE. REGIA: FELIX VAN GROENINGEN. INTERPRETI: JOHAN HELDENBERGH, VEERLE BAETENS, NELL CATTRYSSE. DISTRIBUZIONE: SATINE FILM. DURATA: 111 MINUTI.