martedì 29 settembre 2015

Io e lei

Federica e Marina, entrambe sulla cinquantina, vivono assieme da diversi anni. Provengono da percorsi differenti, hanno caratteri e modi di vita diversi, si amano e discutono come avviene in qualsiasi coppia. La prima è architetta, la seconda ha un passato d'attrice di cui non va specialmente fiera e gestisce ora con successo un'attività di catering. La prima è di scaturigine borghese, la seconda ha radici popolari. La prima è stata sposata e ha un figlio di ventiquattro anni, la seconda non ha avuto identità sessuale che non sia l'attuale. Federica tiene alla riservatezza rispetto al loro rapporto, Marina ne soffre perché pensa che un poco se ne vergogni. Le tensioni sotterranee si manifestano all'improvviso, allorquando quest'ultima accetta di tornare sul set, pur per una parte di non protagonista, e la compagna cade fra le braccia di un'antica fiamma maschile, rimettendo in discussione le proprie scelte...

Dopo il soddisfacente esito di "Viaggio sola",  Maria Sole Tognazzi torna a inscenare una storia tutta al femminile: "volevo fare una commedia sentimentale, raccontare una storia d'amore tra due donne dell'età delle mie splendide attrici, raccontare la normalità". Eh sì, parte del fascino di questo "Io e lei" risiede senz'altro nella scelta delle interpreti: una Margherita Buy chiamata a dar vita ad un personaggio sofisticato, supponente, inquieto come nella sua cifra professionale storica; Sabrina Ferilli, di contro, ad incarnare una popolana solare, ruspante, senza peli sulla lingua. La cosa più gustosa è che entrambe, in qualche modo, si prestano a ironizzare su se stesse ed a mettere in luce caratteristiche che finiscono per minare lo schema iniziale.

"Io e lei" è un ottimo esempio di commedia italiana, di quelle che accompagnavano l'andamento del costume senza andarvi a rimorchio, tuttavia senza anticipare di troppo. Qui, il lesbismo - grazie pure alla misurata sceneggiatura firmata da Ivan Cotroneo e Francesca Marciano assieme alla regista - è narrato con la naturalezza che si riserva alla "normalità", qualunque sia il senso che si voglia dare a questo termine versipelle. In altre parole, non ci troviamo di fronte a una pellicola di rottura qual era, ad esempio, l'intenso "La vita di Adele". V'è, invece, una riflessione tra sorriso e dramma sui mutamenti che il nostro paese sta attraversando, senza esagerare neanche sul versante del lieto fine: si opta per uno scioglimento sereno, ma che - tutto sommato - lascia parecchi nodi irrisolti. La leggerezza di tocco della Tognazzi, quasi ormai un suo marchio di fabbrica, qui si esplicita nel miglior modo possibile. Ma parte cospicua del merito va ad una Buy che è credibile, naturale in tutti i passaggi e ad una Ferilli capace di scovare una consapevolezza a tratti dolente nel dipingere il suo amore muliebre.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

IO E LEI. REGIA: MARIA SOLE TOGNAZZI. INTERPRETI: MARGHERITA BUY, SABRINA FERILLI, ENNIO FANTASTICHINI, FAUSTO SCIARAPPA. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 97 MINUTI.

mercoledì 23 settembre 2015

Everest

Traendo ispirazione dal libro "Aria sottile" di Jon Krakauer (Corbaccio), Baltasar Kormakur ed i suoi sceneggiatori raccontano la disastrosa spedizione sull'Everest - realmente accaduta - che costò la vita ad alcuni scalatori. Sita al confine tra Cina e Nepal, la vetta è la meta di un gruppo eterogeneo che ha scelto di affidarsi a Rob Hall ed alla sua società, l'Adventure Consultants, per tentare l'impresa. Rob è sposato con Jan, la quale attende una bimba che egli sogna di abbracciare terminata la discesa. Ma le cose, ben presto, si fanno complicate, sia perché il campo base pullula di dilettanti, sia perché è reso sovraffollato da altre spedizioni commerciali gestite da Scott Fischer, alpinista col gravame dell'alcool. Rob e Scott trovano tuttavia opportuno e proficuo collaborare, così che il 10 maggio 1996 partono alla volta della vetta, alta 8.848 metri. La preparazione insufficiente dei clienti, accoppiata ad una gestione organizzativa all'insegna dell'approssimazione, ritarda l'ascesa dei due gruppi. Tuttavia, alcuni di loro toccheranno con mano la vetta a fianco di Rob, generoso sino alla caparbietà coi suoi clienti. Poi, una tempesta improvvisa si solleva, con conseguenze esiziali per i destini delle persone coinvolte. 

Recuperando un genere cinematografico popolare negli anni Venti e Trenta in Germania, Kormakur sottolinea come la globalizzazione del viaggio snaturi la natura ed i popoli che incontra. Se la pratica dell'alpinismo per molti aspetti si inscrive in una logica di purificazione, di dominazione del mondo che procura l'ascesi, il cineasta islandese rimpiange quell'intendimento e polemizza con quell'ascensione di massa che la logica della globalizzazione e le regole feroci del capitalismo hanno fatto sorgere. Una impresa che dovrebbe richiedere un alto livello di specializzazione, di conoscenza, coinvolge individui giunti lì per i più vari motivi: per sfidare se stessi secondo canoni criptopubblicitari, per reagire ad un momento di depressione, per provare un brivido inconsueto. L'importante è che, prima, passino alla casa per pagare i 65.000 dollari di un biglietto, che può rivelarsi un autentico passaporto per l'inferno. 

La 'democratizzazione' della montagna, contaminata da velleitarie ambizioni e da lattine sfondate, ha abbassato il livello del tutto, trasformando in passeggiata dopolavoristica una sfida che può diventare dramma ad ogni pie' sospinto. Ecco, sono queste le cose che fanno di "Everest" qualcosa di più d'una macchina da intrattenimento, di un kolossal al limite del catastrofico: c'è, in sottofondo e sin dall'inizio, il senso d'una tragedia incombente, quasi la tracotanza degli uomini dovesse per forza di cose scatenare la furia degli dei dell'altitudine. Le riprese, che tolgono il fiato, sono state realizzate in alcune zone del Nepal, ma pure in Italia - in Val Senales - e negli studi inglesi della Pinewood. Le star coinvolte hanno dovuto sottoporsi ad allenamenti devastanti e funzionano assai bene: segnatamente, Jason Clarke e Jake Gyllenhaal forniscono prove - è il caso di dirlo - all'altezza della situazione. 
                                                                                                                                     Francesco Troiano

EVEREST. REGIA: BALTASAR KORMAKUR. INTERPRETI: JASON CLARKE, JOSH BROLIN, JAKE GYLLENHAAL, KEIRA KNIGHTLEY, ROBIN WRIGHT. DISTRIBUZIONE: UNIVERSAL. DURATA: 121 MINUTI.

lunedì 14 settembre 2015

Per amor vostro

Anna è stata una bambina spavalda e piena di coraggio, fino al punto che durante la tradizionale festa dell'Assunta, era stata sempre lei la prescelta per il "volo dell'angelo": sospesa tra un campanile ed un palazzo, agganciata soltanto ad una corda penzolante, non esitava a lanciarsi nel vuoto con un sorriso.  Oggi è una donna che vive nella sua Napoli e che da quattro lustri ha smesso di vedere ("per necessità e convenienza", ammette) quanto succede nella sua famiglia: gli Scattone campano di usura, mormora la gente; tuttavia, ella preferisce non prendere posizione, rimanere sospesa in un limbo. Per amore dei tre figli e della famiglia, ovviamente, ma anche perché sin da piccina - come per troppe donne accade - è stata abituata a chinare la testa, a sentirsi "una cosa da niente":  con il risultato che la sua vita si è, poco alla volta, spenta. La sua esistenza è talmente opaca da non farle più vedere i colori, sebbene sul lavoro - fa la "suggeritrice" in uno studio tv - sia assai stimata, e questo la riempia di orgoglio...

Napoletano di Pozzuoli, classe 1957, Giuseppe M.Gaudino inizia come scenografo e costumista per il teatro. Esordisce alla regia nel 1985 con "Aldis" (saggio al CSC, presentato a Venezia), che percorre con tecnica raffinata i sentieri d'una avanguardia radicale e suggestiva: la stessa rintracciabile, più tardi, nel video underground "Per il rione terra" (1990) e - nello stesso anno - in "Calcinacci", firmato a quattro mani con Isabella Sandri. "Giro di lune tra terra e mare" (1997), narrazione della deriva della famiglia Gioia di Pozzuoli che procede in parallelo allo sconquasso sismico che devasta la città, è tra le opere più significative ed originali del cinema italiano negli anni '90. Ora, a rompere un silenzio quasi ventennale (interrotto solo da due documentari: "Maquilas" nel 2004 e "Per questi stretti morire" nel 2010, entrambi diretti assieme alla Sandri), giunge "Per amor vostro", realizzato fra infinite difficoltà produttive.

Diciamo subito che si tratta del suo lavoro più ambizioso; perché la vicenda narrata pare volersi fare metafora della complessità della città nella quale si svolge. Abitata e dominata dalla criminalità, certo, ma anche depositaria di una cultura ancestrale, Napoli appare un mondo sotterraneo pieno d'ombra, ctonio, zeppo di catacombe, cimiteri, ipogei, ove sopravvivono riti ancestrali (la scena della capuzzella, il teschio del tuo morto al quale ti rivolgi a riceverne consigli e indicazioni). In sintonia con quest'anima  misteriosa, Anna percorre le strade gravata dal marciume morale che la circonda e che pure in casa sua domina, tramite la figura del marito Gigi detto 'O Milord, esattore della mafia per l'usura ed uomo violento, sprezzante, cinico. Poi c'è la prole, due ragazze e quella bella quasi infatuata del papà; infine il figliolo sordomuto, gentile ed insofferente alla crudezza paterna, tenero fino allo struggimento (i momenti in cui si esibisce in "Buanita Banana" del Quartetto Cetra, con una sorta di playback, sono deliziosi). Quando infine Anna sembra prendere coscienza e trovare il coraggio per ribellarsi, patirà la delusione di un inganno ancora più grande; pur se lo scioglimento assume i toni di favola che hanno fatto capolino, a tratti, nella vicenda (le scene a colori, a spezzare il bianco e nero della quotidianità).

Opera ambiziosa, si diceva, e diretta in stato di grazia, ché i vari registri - dal drammatico al buffo, dal tragico al sorridente - ben si amalgamano: stride un poco, forse, il mondo della soap opera nella quale Anna svolge la sua attività e che, nel raffronto con il resto delle sue giornate, ha qualcosa di forzoso e di didascalico. Ma l'intera operazione trova un tramite formidabile in Valeria Golino, qui probabilmente alla sua miglior prova d'attrice, che si carica sulle spalle il film e dà ad ogni momento di esso un sapore di verità intenso, corposo: poche volte una Coppa Volpi è stata assegnata con maggior merito, a nostra memoria.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

PER AMOR VOSTRO. REGIA: GIUSEPPE M.GAUDINO. INTERPRETI: VALERIA GOLINO, ADRIANO GIANNINI, MASSIMILIANO GALLO. DISTRIBUZIONE: OFFICINE UBU. DURATA: 109 MINUTI.

Inside Out

Riley è una bimba di undici anni che, sradicata dalla sua vita felice nel Minnesota per seguire i genitori a San Francisco (il padre vi è stato trasferito per lavoro), inizia un difficile percorso d'adattamento. Le sue emozioni primarie, che le fanno da guida nell'esistenza quotidiana, entrano di seguito in subbuglio. Posizionate in un attrezzato quartier generale, svolgono ciascuna il proprio compito: Gioia si sforza di vedere sempre il lato positivo delle cose, Tristezza insiste nel colorare di dolore ogni cosa, Rabbia si spazientisce spesso e volentieri, Disgusto arriccia il naso di fronte a tutto, Paura tiene fede al proprio nome. Il debutto poco fortunato di Riley a scuola e il camion del trasloco perduto nel Texas complicano ulteriormente la situazione emotiva della bambina: il risultato è che il centro di controllo decisionale va in tilt, Gioia e Tristezza si trovano sbalzate fuori da esso e debbono peregrinare lungamente attraverso le varie zone del cervello di Riley. Infine riusciranno a fare ritorno, fornendole un nuovo equilibrio: sulla consolle di comando rinnovata si trova il tasto "pubertà", vale a dire l'obiettivo prossimo venturo.

Già nel 1943, Walt Disney aveva licenziato un gustoso corto dal titolo "Reason and Emotion" incentrato sul funzionamento della mente umana, nel quale minuscole creature - ritratte in veste antropomorfa - davano corpo ai sentimenti che si battono per temperare l'emotività. Il gruppo della Pixar, prendendo le mosse proprio da quel soggetto, l'ha sviluppato ed approfondito con una strepitosa messe d'intuizioni: basti vedere il personaggio di Bing Bong, l'amico immaginario che piange caramelle e sogna di portare Riley sulla luna (sarà sua la scena più struggente, che segna la fine dell'infanzia della piccina). Quello che ne scaturisce è un apologo, brillante e commovente, sul mutamento delle stagioni nell'esistenza.
 
Il segreto della Pixar non sta, come è noto, nell'abilità tecnica, sovente raggiungibile o perfezionabile, ma nella forza drammatica delle loro storie. Il fascino delle loro sceneggiature costituisce l'atout con il quale hanno licenziato infiniti capolavori: dietro a molti di questi - ad esempio, "Monsters&Co" od "Up" -    c'è la regia di Pete Docter, per certo il migliore dei cineasti del gruppo. La sua capacità di creare dei personaggi straordinari è sorprendente: qui, si veda il già citato Bing Bong, gatto, elefante e delfino insieme, rosa e soffice come lo zucchero filato, guida di Gioia e Tristezza tra i sogni e gli incubi di Riley, capace di svanire nell'oblio per consentire il passaggio della sua compagna di giochi all'adolescenza. Perseguendo lo schema della buddy comedy e correggendola con una spolverata di esistenzialismo metaforico, Docter dà vita ad uno dei più bei lungometraggi Pixar, un po' film d'avventura un po' atipica sit-com, coloratissimo e quasi psichedelico, pieno di trovate che occhieggiano al quotidiano (si pensi al tormentone del "jingle" sul chewing gum, che a tratti fa capolino). L'affermazione più significativa è che la tristezza, quando è blu e intensa come chi la rappresenta, è necessaria al superamento dell'ostacolo e alla costruzione di sé. Ma questo, come molti dei temi della pellicola, pare destinato a sollecitare delle riflessioni soprattutto in un pubblico adulto: l'eccezionalità è che un simile risultato è ottenuto nemmeno una volta a scapito della godibilità del prodotto per il suo pubblico d'elezione, il popolo dell'infanzia.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

INSIDE OUT. REGIA: PETE DOCTER. DISTRIBUZIONE: DISNEY. DURATA: 94 MINUTI.
                                                         

mercoledì 9 settembre 2015

Sangue del mio sangue

Bobbio, XVII Secolo. Benedetta, una nobile costretta a farsi suora, seduce un sacerdote, Fabrizio, che finisce per uccidersi. Federico, giovane uomo d'arme e fratello del morto, vuole riabilitarne la memoria e si presenta, perciò, al convento. Colei che, secondo l'Inquisizione, lo avrebbe amato, sedotto e condotto alla follia, viene sottoposta ad una serie di prove, tese a piegarne la volontà. Ma ella non riconosce pentimento e, ben presto, la vendetta anelata da Federico muta in desiderio: la donna è perciò condannata alla prigione perpetua, e murata viva in una cella. 
Bobbio, oggi. Federico, un presunto ispettore ministeriale, bussa al medesimo convento: assieme a lui, un miliardario russo che vorrebbe acquistare l'antico complesso. In apparenza abbandonato all'usura del tempo e all'incuria del comune, l'edificio è abitato dal misterioso conte Basta, che vive solo di notte ed attraversa il paese, interrogando gli abitanti sullo 'stato delle cose'. Le cose in mutazione sotto la spinta del 'nuovo' vengono avversate dall'enigmatico individuo, che vorrebbe conservare una sorta di status quo...

Dunque, Bellocchio ancora una volta torna a Bobbio, al paese natale teatro del suo mirabile esordio "I pugni in tasca" (1965), in epoca più recente luogo d'ambientazione per il delicato "Sorelle Mai" (2010) e che, nella vita, è diventato il posto in cui egli ha impiantato il suo laboratorio di cinema. Fatto in parte di pezzi di cose girate dai suoi allievi, quest'ultimo lungometraggio incorpora molti tra i temi da lui già affrontati in passato o provenienti dalla sua autobiografia: ad esempio, quello della strega vista quale emblema della femminilità irriducibile agli schemi del potere maschile arriva diritto da "La visione del sabba" (1988), laddove l'argomento del fratello suicida - il suo gemello, nella vita - sta al centro de "Gli occhi, la bocca" (1982). 

Quel che sorprende, davvero, è la capacità del cineasta piacentino di sperimentare e di sperimentarsi, di produrre libere variazioni, di mescolare Storia e storie con una libertà creativa davvero invidiabile, mettendosi in discussione ogni volta e, sovente, trovando una perfetta sintesi tra rigore e semplicità.
Qui, circondatosi di due famiglie - quella di sangue e quella di lavoro - produce un'opera che sfugge a ogni definizione, muovendo da un caso di stregoneria nell'Italia del '600 ad una contemporaneità vista con occhio spietato eppure ironico. Si veda il "vampirismo isolazionista" che muove il conte Basta, il dottor Quantunque e gli accoliti della setta: quasi un movimento politico, tra vecchia DC ed espedienti di più recente conio. Cos'altro? Quel finto ispettore del Ministero che pare uscito dalle pagine de "Il revisore" di Gogol fa il paio con Basta che si commuove cantando "Torna a Surriento": ma è bello che il tutto si concluda con Benedetta che - graziata trent'anni dopo da Federico, diventato cardinale - lo stende con la sua nudità non scalfita dagli anni; è la bellezza che incenerisce il male, lasciando spazio alla speranza. Tutto il resto - attori in stato di grazia (Herlitzka in testa), fotografia superba (Daniele Ciprì), montaggio perfetto (Francesca Calvelli) - soccorre, è ovvio: però, il modo migliore per affrontare "Sangue del mio sangue" è, per una volta, evitar d'analizzarlo con l'abituale strumentazione critica, bensì lasciandosi andare al flusso delle immagini, al ritmo interno della pellicola, alle intuizioni di un maestro che non conosce stanchezza.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

SANGUE DEL MIO SANGUE. REGIA: MARCO BELLOCCHIO. INTERPRETI: ROBERTO HERLITZKA, PIER GIORGIO BELLOCCHIO, LIDIYA LIBERMAN, ALBA ROHRWACHER, FILIPPO TIMI. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 107 MINUTI.

lunedì 7 settembre 2015

Non essere cattivo

Vittorio e Cesare, vent'anni o giù di lì, sono più che amici da sempre: sono "fratelli di vita". La loro è un'esistenza intessuta d'eccessi, tra notti in discoteca, macchine potenti, alcool, droghe sintetiche e spaccio di cocaina. Vivono in simbiosi pur avendo aspirazioni differenti, entrambi alla ricerca di una propria affermazione. Il loro modo di spendere le giornate ha un costo altissimo e Vittorio, col tempo, comincia a desiderare una vita diversa: incontra Linda e, per salvarsi, prende le distanze da Cesare, che invece sprofonda inesorabilmente. Si ritrovano qualche tempo dopo e Vittorio cerca di coinvolgere l'amico nel lavoro. Cesare, superata un'iniziale resistenza, accetta: sembra, infine, intenzionato a mutar registro, frequenta Viviana (ex di Vittorio) e sogna di costruire una famiglia insieme a lei. Ancora una volta, però, le sirene della strada avranno la meglio sui suoi propositi. Nonostante le continue cadute dell'amico (e finanche a dispetto delle discussioni che deve affrontare con Linda su questo argomento), Vittorio non abbandonerà mai davvero Cesare, in virtù del forte legame che li unisce e nella speranza di poter guardare al futuro con occhi nuovi. Insieme.

Nativo di Arona (Novara), classe 1948,  Claudio Caligari - dopo un periodo di apprendistato trascorso a girare quattro documentari, tutti realizzati tra il 1976 e il 1978 - debutta nel lungometraggio con "Amore tossico" (1983), storia quasi vera e quasi dal vero di un gruppo di giovani sottoproletari immersi sino al collo nel mondo degli stupefacenti, alla periferia di Roma. Sotto il segno di Pasolini (però, pure, con la collaborazione di un esperto sociologo come Claudio Blumir), il neoregista si serve con abilità di attori non professionisti per restituirci uno spaccato di disperazione senza limiti, che lascia il segno.

Si ricollega a quella lontana opera (il nostro, da allora, ha firmato soltanto, nel '98, "L'odore della notte", tagliente variazione sui temi di "Arancia meccanica", che assume le connotazioni di una piccola guerra di classe tra borgatari e ricchi), oggi, "Non essere cattivo": girato tra il Lido di Ostia e Fiumicino, i luoghi per eccellenza del poeta de "Le ceneri di Gramsci", il film si propone come una cruda, amara vicenda di tossicodipendenza, priva di retorica o moralismo. Il tema dei sodali divisi tra lo slancio verso una vita onesta e, di contro, il richiamo della foresta, non è nuovo (su tematiche consimili, già nel 1958, Franco Rossi licenziava "Morte di un amico"): come si diceva, qui è lo sguardo a rendere il tema spiazzante, quasi inedito. L'ottimo cast si adegua bene all'ultima fatica - Caligari, recentemente, è scomparso - di un talento anarchico e anticonformista: gli ha reso un giusto omaggio Valerio Mastandrea, produttore delegato della pellicola, vergando uno struggente, dolcissimo ricordo, che trovate sul suo sito.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

NON ESERE CATTIVO. REGIA: CLAUDIO CALIGARI. INTERPRETI: LUCA MARINELLI, ALESSANDRO BORGHI, SILVIA D'AMICO, ROBERTA MATTEI. DISTRIBUZIONE: GOOD FILMS. DURATA: 100 MINUTI.