martedì 30 aprile 2013

Miele

Irene è una giovane donna di trent'anni, che aiuta chi ne ha bisogno a morire. Su celata segnalazione medica, ella entra nelle case delle persone: efficiente e discreta, svolge il proprio compito grazie a un farmaco illegale procuratosi in Messico, dipoi sparisce com'era arrivata. Nella propria vita privata, sta distante dal lavoro: si dedica invece in modo sfiancante al nuoto od alla bicicletta, consuma distratti amplessi con un paio d'uomini, si rifiuta al mondo rifugiandosi nella sua baracca sulla spiaggia. Un giorno, a domandare i propri servigi è un ingegnere sulla settantina, che vuol fare tutto da sé: soltanto dopo avergli venduto la medicina letale, Irene scopre che l'uomo - a differenza che nei casi precedenti - non soffre d'alcuna malattia mortale, ma vuole solamente sfuggire ad un tedio divenuto disinteresse totale per tutto...

L'accompagnare alla fine è un tema che il cinema ha affrontato di rado per quanto d'insopportabile esso comporta, tuttavia producendo esiti alti: si pensi soltanto ad un capo d'opera quale "Sussurri e grida" (1973) di Bergman, ove il ruolo di ancelle del trapasso era ricoperto dalle tre sorelle di una moribonda. Ecco, la prima differenza con "Miele" - splendido esordio dietro la macchina da presa di Valeria Golino - già s'appalesa: è il denaro (che le vediamo consegnato in buste gravide di banconote) la molla che muove qui la protagonista. All'apparenza, almeno, dato che la sua non è, con evidenza, una scelta ideologica od umanitaria; nemmeno il risarcimento della scomparsa all'insegna del dolore di sua madre. La cosa più azzeccata del film - tratto dal romanzo di Marco Covacich "A nome tuo" (Einaudi) - è, giustappunto, il ritratto muliebre che ne è al centro, quest'androgina figuretta scattante e nevrile che, a volte, pare gravata dal peso di tutte le vite che accompagna al congedo.

Disegnando l'anima sconnessa e smangiata della protagonista, la neoregista s'appropria d'uno sguardo scevro da qualsiasi moralismo, capace di raccontare l'eutanasia fuor da cinismo o sentimentalismo. La presenza dell'ingegner Grimaldi - non dotato dei requisiti dei precedenti morituri - funge da reagente per i sentimenti forzosamente sotto vuoto di Irene: che comprende come, qui e ora, non coinvolgersi non le appaia più possibile. Il nascere dell'amicizia tra due solitudini, due disagi, è narrato con sensibilità: un tocco leggero che vedi dappertutto, nel montaggio spezzettato ma non frenetico, nell'uso straniante delle musiche, nel fluire d'immagini che mai indulgono a una pacchiana belluria. Il bellissimo finale, divergente da quello del libro, insegue la poesia senza affanno: in ogni caso, induce lo spettatore ad un sorriso, magari di rasserenamento. O, chissà, di speranza.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

MIELE. REGIA: VALERIA GOLINO. INTERPRETI: JASMINE TRINCA, CARLO CECCHI, VINICIO MARCHIONI, LIBERO DE RIENZO, IAIA FORTE. DISTRIBUZIONE: BIM. DURATA: 96 MINUTI.

martedì 23 aprile 2013

Viaggio sola

Irene ha da poco passato la quarantina, non ha marito né figli, fa un lavoro atipico che costituirebbe il sogno di molti: è "mistery guest", vale a dire il temutissimo ispettore in incognito che deve annotare, valutare e giudicare gli standard degli alberghi di lusso. Sempre in giro per il mondo, a compilare un questionario di 800 domande finalizzato alla relazione conclusiva, ella copre il versante degli affetti grazie alla sorella Silvia, continuamente alle prese con gli impegni della propria famiglia, ed all'ex-fidanzato Andrea, imprenditore di agricoltura biologica. Pur non avendo alcun desiderio di stabilità, Irene inizia a farsi delle domande proprio quando Andrea sta per diventare, seppur riluttante, padre...

Molte volte, al termine della visione di certe pellicole europee (francesi, in particolare), chi scrive si è domandato come fosse per i registi d'oltralpe o d'altre nazionalità relativamente facile dar vita a delle commedie lievi tuttavia non banali, godibili e per nulla becere: ciò che qui da noi, sistematicamente, non avveniva. Bene, "Viaggio sola" - terzo lungometraggio firmato da Maria Sole Tognazzi - centra il bersaglio con garbo inusuale, quasi in sordina: non per particolari meriti di sceneggiatura (che resta il punto debole dei titoli nostrani del genere), invece per l'affettuosa partecipazione alla storia messa in scena da parte d'una regista che si sente, con evidenza, coinvolta in prima persona.

Il contenuto metraggio - meno di un'ora e mezza, la durata; uno fra gli atout del film - consente agli ottimi attori, specialmente alla perfetta Margherita Buy, d'acquerellare vicende quotidiane che han sapore di verità senza forzature: aiuta, nella bisogna, il contesto - le belle location vanno da Parigi a Berlino a Marrakech - e lo splendore degli hotel, che abilmente vengono suggeriti quali scenari ideali per collocarvi una solitudine (fungono da cartina di tornasole, in tal senso, gli incontri occasionali della protagonista con un'antropologa in un'occasione, un affascinante sconosciuto in un'altra). Il finale quasi sospeso si mantiene in tono con il resto della narrazione e suggella un'operina ispirata, piacevole, che dimostra quanto la leggerezza del tocco possa esser l'arma giusta per certi risultati.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

VIAGGIO SOLA. REGIA: MARIA SOLE TOGNAZZI. INTERPRETI: MARGHERITA BUY, STEFANO ACCORSI, FABRIZIA SACCHI, GIAN MARCO TOGNAZZI, ALESSIA BARELA, LESLEY MANVILLE. DISTRIBUZIONE: TEODORA. DURATA: 85 MINUTI.

lunedì 22 aprile 2013

Le streghe di Salem

Heidi Hawthorne lavora come DJ per una radio a Salem - città famosa per i processi alle streghe che vi si svolsero, nel 1600 - e, già preda della tossicodipendenza, è in disintossicazione. Una sera, mentre si trova in studio, le viene recapitata una scatola di legno: essa contiene un vinile dei "signori di Salem". Il disco, che suona al contrario, evoca nella sua mente una serie d'immagini annebbiate, confuse. Presto Heidi inizia ad accorgersi che l'ascolto di quella musica l'ha condizionata, portandola a smarrire in maniera progressiva il proprio contatto con la realtà. Qualche giorno più tardi, mentre è ospite del suo programma Francis Matthias, storico della città di Salem ed autorità sull'argomento dei processi alle streghe, ella manda in onda l'album che ha ricevuto: nello stesso momento tre donne - come fossero appartenenti ad una setta religiosa - uccidono i loro compagni...

Sarà bene fermarci qui nell'esposizione della trama de "Le streghe di Salem", ultima fatica registica del talentoso Rob Zombie. Diciamo subito che il cineasta de "La casa dei 1000 corpi" (2004) e "La casa del diavolo" (2005) compie qui una decisa virata rispetto all'orrore citazionista - ed un poco scomposto - del passato, in favore d'un approccio più maturo e meditato: intendiamoci, non mancano  pure stavolta delle scene forti, ma i motivi d'interesse risiedono altrove. Se l'ispirazione viene dal Polanski di "Rosemary's Baby" (1968) e de "L'inquilino del terzo piano" (1976), il nostro dà mostra d'una libertà di sguardo che è originale ed irriproducibile. Il concertato prevede, tra l'altro, delle  sorprendenti apparizioni (il trio di "scream ladies" costituito da Dee Wallace, Patricia Quinn e Meg Foster), uno strepitoso patchwork sonoro (si va dai Velvet Underground a Bach, da Bruce Springsteen a Mozart), scene ai limiti della blasfemia (una fellatio praticata a un sacerdote e una sorta di Papa al negativo).

E poi c'è Sheri Moon, sua moglie, ad interpretare la protagonista. In simbiosa fisica e mentale con lei, Rob ne percorre nervosamente il corpo, sottolinea certe posture, esplora le espressioni del viso. La discesa negli inferi di Heidi è resa dall'attrice con un'aderenza impressionante, sospesa come risulta tra immaginazione e realtà (stiamo assistendo a una vicenda popolata da individui alla Charles Manson, o il tutto è solo l'incubo di una presunta ex-junkie?). Lo spettatore, trascinato in un trip scosceso e inquietante, si sente in trappola come il personaggio principale: il senso di claustrofobia viene, inoltre, accentuato da una macchina da presa che, sfiorando pavimenti e soffitti, rende tattile l'angoscia delle situazioni. Insomma, "Le streghe di Salem" è il lavoro d'un artista ormai completo (a conferma, assieme al film, esce il suo nuovo disco "Venomous Rat Regeneration Vendor", oltre al romanzo "Le giovani streghe di Salem"): qualsiasi siano le strade che il cinema horror intraprenderà nel futuro, di certo non si potrà prescindere da lui.
                                                                                                                                    Francesco Troiano

LE STREGHE DI SALEM. REGIA: ROB ZOMBIE. INTERPRETI: SHERI MOON ZOMBIE, BRUCE DAVISON, JEFF DANIEL PHILLIPS. DISTRIBUZIONE: NOTORIOUS. DURATA: 101 MINUTI.