lunedì 13 luglio 2015

Babadook

A sei anni dalla scomparsa del marito, Amelia non ha ancora elaborato il lutto per la perdita. Ne risente il rapporto con Samuel, suo unico figlio: il bimbo seienne non dorme bene, la tiene sveglia, spaventa i compagni; certo, il contatto con una madre devastata dallo stress non lo aiuta, piuttosto ne accentua il comportamento aggressivo e lunatico. Le cose vanno, però, assai peggio, da quando s'imbattono in un  inquietante, misterioso libro di favole, che narra le imprese d'uno spaventevole Uomo Nero e sciorina le filastrocche necessarie per invocarlo. Malgrado venga gettato via dopo la prima lettura, il volume - un po' come avveniva per l'orrido pupazzetto di Pierino, creato da Antonio Rubino, sulle antiche pagine del "Corriere dei Piccoli" - continua a ripresentarsi, mentre fra le mura domestiche iniziano a succedersi fenomeni sempre più singolari e terrificanti. Cosa sta accadendo? 

Presentato con successo in vari festival, dal Sundance al nostrano Torino, "Babadook" è un film dell'orrore sui generis: rielaborando un suo corto del 2005, "Monster", la cineasta australiana Jennifer Kent ha dato vita ad una variazione assai peculiare sul tema dell'abitazione infestata. La cosa più originale, in assoluto, è l'approccio prescelto alla materia. Il suo lavoro, pur rispettando in apparenza i moduli della messa in scena horror, non usa il repertorio di truccherie abituale: niente sobbalzi sulla poltrona con apparizioni improvvise od impennate sonore, piuttosto una patina di grigiore che va dall'arredamento della casa al tono generale, sostenuta da una fotografia adeguatamente funerea. Persino la raffigurazione del mostro non si cura di seguire i canoni correnti: invece, sembra rifarsi al Lon Chaney de "Il fantasma del castello" (1927), pellicola perduta di Tod Browning della quale ci rimangono soltanto delle foto di scena.

Se certamente la regista si è ricordata del Carpenter di "Halloween" (1978) per disegnare il ritratto di questa madre single disperata ed afflitta dalla solitudine (la scena della tentata soddisfazione per mezzo di un fallo di plastica, è tra le più malinconiche immagini dell'abbandono che si sia vista su uno schermo), il dato più intrigante è il continuo suggerimento che la presenza incubica altro non sia che una proiezione delle paure e dei desideri della donna. Insomma, com'era in "Suspense" (1961), il magistrale adattamento di "Giro di vite" di Henry James firmato da Jack Clayton, potremmo trovarci davanti ad un fantasma uterino figliato dal desiderio sessuale a lungo frustrato: la raffigurazione di questa possibile psicosi mentale è raccontata con uno stile minimalista e all'insegna di un montaggio isterico, come nel miglior Aronofsky. Sorprende il finale, che getta una luce di favola morale sull'intera pellicola; da applauso le prestazioni di Essie Davis (vista ne "La ragazza con l'orecchino di perla" e "La tela di Carlotta"), nevrile e angosciata madre sull'orlo di un collasso nervoso, e di Noah Wiseman, il piccolo debuttante che incarna misteri e inquietudini dell'infanzia con una prestazione al calor bianco.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

BABADOOK. REGIA: JENNIFER KENT. INTERPRETI: ESSIE DAVID, NOAH WISEMAN, DANIEL HENSHALL. DISTRIBUZIONE: KOCH MEDIA. DURATA: 93 MINUTI.