mercoledì 26 agosto 2015

Taxi Teheran

In una giornata qualunque, un taxi attraversa le strade di Teheran. Passeggeri di differente estrazione sociale salgono e scendono dall'autovettura. Alla guida, però, non vi è un conducente qualsiasi bensì Jafar Panahi, il regista iraniano condannato dal suo paese a non più girare film per ben due decenni. Il percorso lo porta a toccare delle tappe per lui significative: dall'incontro con la nipotina dolcissima e un poco petulante a quello con la donna avvocato, che da sempre si batte per il rispetto dei diritti civili...
 
L'iter registico di Panahi, 55 anni, è tra i più prestigiosi e ricchi di riconoscimenti nella storia del cinema contemporaneo: Caméra d'Or a Cannes per il suo esordio nel lungometraggio , "Il palloncino bianco", subito seguito dal Pardo d'oro a Locarno per il successivo "Lo specchio" e dal Leone d'oro a Venezia, assegnato al bellissimo "Il cerchio" (una denuncia della triste condizione muliebre nella sua nazione). Il quarto titolo, "Oro rosso", premiato dalla giuria nella sezione Un certain regard di Cannes, viene in un primo momento designato a rappresentare l'Iran all'Oscar per il miglior film straniero, dipoi ritirato dalle autorità locali e proibito. Infine "Offside", che continua il discorso sull'umiliante stato di emarginazione delle donne iraniane, si aggiudica l'Orso d'argento a Berlino.

Con l'avvento del XXI secolo, arresti e processi-burla, condanne e proibizioni rendono vieppiù difficile, problematico al nostro di fare il proprio lavoro. Ma ciò non gl'impedisce di far uscire, con dei mezzi di fortuna, altre proprie opere fuori dai confini nazionali; sino a questo "Taxi Teheran", meritato vincitore dell'Orso d'Oro a Berlino nel 2015.  La forza del film consiste nel farsi militante in modo non urlato od enfatico, ma solo mostrando frammenti di vita quotidiana in un paese dove le contraddizioni si fanno sempre più stridenti. I passeggeri che s'alternano sul taxi esprimono posizioni differenti nei confronti della società in cui vivono: si va da chi vorrebbe applicare "pene capitali" a quanti, invece, difendono giovani donne ree d'essersi fatte trovare non dentro, ma semplicemente nei pressi di uno stadio (il cui accesso, ricordiamolo, è consentito unicamente agli uomini). Ad unificare e render significante il tutto c'è la personalità di Panahi, che riesce a elaborare il reale secondo la propria poetica, a filtrarlo tramite il proprio sguardo partecipe e generoso.

Insomma la repressione, come in tanti altri casi nel passato (ad esempio per Carlos Saura, che ha dato vita alle sue pellicole più straordinarie proprio durante gli anni del franchismo), aguzza l'ingegno di chi ne viene colpito e lo stimola a realizzare delle cose atipiche e diversamente eccelse: che divengono - al di là del loro indubbio valore - la dimostrazione che la dittatura non può imbrigliare l'arte, che la libertà ed il talento trovano comunque il modo di manifestarsi e di seppellire il potere, finanche con un sorriso.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

TAXI TEHERAN. REGIA: JAFAR PANAHI. INTERPRETI: JAFAR PANAHI. DISTRIBUZIONE: CINEMA DI VALERIO DE PAOLIS. DURATA: 82 MINUTI.