martedì 28 marzo 2017

Il permesso

Quattro persone, detenute nel carcere di Civitavecchia, escono con un permesso di 48 ore: la giovane Rossana, arrestata in aeroporto in quanto trafficante di cocaina; Luigi, sulla cinquantina, condannato per due omicidi a causa dei quali ha già scontato oltre tre lustri di pena; Angelo, 25 anni, finito in prigione per una rapina commessa con complici che tuttavia mai ha tradito; Donato, 35enne, in detenzione pur essendo egli innocente. Ognuno si sforza d'inventarsi un'altra esistenza, nel breve arco di tempo concesso; tra frustrazioni, rabbie, sconfitte, alle prese con i cambiamenti apportati dal tempo durante la loro assenza, alla fine prenderanno strade diverse ma per ciascuno sarà una scelta di svolta.

Il noir nostrano ha una parabola singolare: fatte salve le prove d'autore (si va dal mirabile adattamento del "Pasticciaccio" gaddiano allestito nel 1959 da Pietro Germi con "Un maledetto imbroglio", a talune isolate e difficilmente classificabili piccole gemme sul tipo di "Senza sapere niente di lei", firmato nel 1969 da Luigi Comencini), le prime prove significative del "genere" si possono fare risalire ad un artigiano colto e non privo di gusto come Mino Guerrini ("Omicidio per appuntamento", 1967; "Gangsters '70", 1970) o ad un atipico di talento quale Romolo Guerrieri ("Un detective", 1969). Però il maestro indigeno rimane senza dubbio Fernando Di Leo, che rilasciò una trilogia - "Milano calibro 9" e "La mala ordina" (1972); "Il boss", (1973) - degna del migliore polar d'oltralpe.

Di poi, come ognun sa, il cinema medio italiano è praticamente sparito, alla metà degli anni '80, incluso il nero autarchico: è la serie televisiva "Gomorra" e certi nuovi titoli per le sale, su tutti "Suburra" (2015), ad aver riportato in auge personaggi e stilemi di un universo filmico del quale s'eran perse le tracce. Dietro a tutto, a parte l'opera narrativa di Roberto Saviano, c'è la passione ed il talento di Stefano Sollima (chiamato già dagli States per il futuro), regista di polso sulle orme dell'indimenticato padre Sergio. Codesto lungo prologo serve ad introdurre "Il permesso", seconda prova dietro la macchina da presa di Claudio Amendola, dopo il riuscito esordio de "La mossa del pinguino" (2014). L'attore e cineasta romano ha scelto di passar dalla commedia agrodolce ad atmosfere e tematiche che ben si addicono alla sua figura di vilain disilluso e in cerca di pace; non a caso è il suo personaggio, Luigi, il più riuscito della pellicola, con una maschera che ricorda quella di un Lino Ventura. I co-protagonisti, di contro, risultano meno a fuoco, pur se l'insieme è assolutamente dignitoso: a far da valido collante, c'è da ricordarlo, un soggetto garantito dalla firma di Giancarlo De Cataldo. In definitiva, un'opera che non delude e in nulla arretra rispetto alla precedente; lascia soltanto intravedere, se proprio un appunto si vuol fare, le potenzialità che Amendola fa mostra di oramai possedere.
                                                                                                                               Francesco Troiano 

IL PERMESSO. REGIA: CLAUDIO AMENDOLA. INTERPRETI: LUCA ARGENTERO, CLAUDIO AMENDOLA, GIACOMO FERRARA, VALENTINA BELLE'. DISTRIBUZIONE: EAGLE PICTURES. DURATA: 91 MINUTI.

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