martedì 25 settembre 2012

Reality

Pescivendolo e piccolo truffatore, Luciano è anche showman di quartiere a tempo perso: con la moglie ed i tre figlioletti ha una che vita può dirsi, in fin dei conti, serena. Un piccolo tarlo, tuttavia, lo rode, fors'anche a sua insaputa: partecipando al "Grande Fratello", un concittadino ha sfondato nell'universo televisivo ed è assurto a modesta fama, tale comunque da farlo andar presenziando a matrimoni e feste in elicottero. Così, su insistenza della prole, egli decide di darsi un'opportunità partecipando alle selezioni del programma televisivo. Convocato a Roma per una seconda audizione, si convince di aver fatto breccia, di poter entrare nel numero dei partecipanti: la chiamata, però, tarda ad arrivare. A questo punto, il concorrente presunto inizia ad immaginarsi spiato da misteriosi emissari della tv: cede perciò la propria attività, regala gran parte delle suppellettili di casa ai bisognosi; infine, staziona in permanenza dinnanzi all'apparecchio televisivo, immergendosi ogni giorno di più in un mondo di fantasia...

Non era facile, fare un film dopo "Gomorra". Garrone ha tentennato parecchio, prima accarezzando un progetto su Fabrizio Corona, dipoi scegliendo di realizzare una commedia dai toni incubici e surreali. "Reality"trae ispirazione da molto cinema italiano del passato, remoto e prossimo: la formidabile scena iniziale del matrimonio ricorda Ciprì&Maresco e gli esordi di Roberta Torre; il segmento dell'audizione pare una versione postmoderna di "Bellissima" di Visconti; infine, l'atmosfera generale è, con evidenza, debitrice del Fellini più survoltato e barocco, quello di "Ginger e Fred". Come se la cava, Garrone, fra tutte queste suggestioni? Fatica, diremmo. Se è vero che i suoi film sono, in primo luogo, dei viaggi dentro le immagini (stante le sue scaturigini di pittore), è però altrettanto vero che qui resta, al fondo, un che d'inerte, d'irrisolto.

Ci spieghiamo meglio. Lo sguardo freddo, meramente descrittivo,  del cineasta romano s'attagliava alla perfezione a storie incandescenti come quelle de "L'imbalsamatore" o di "Primo amore", persino al paesaggio con figure di "Gomorra". Qui, alle prese con una vicenda esile sino all'impalpabilità, tutto sembra sfumare nell'indefinito: a confronto, il recente "E' stato il figlio" di Daniele Ciprì (un'opera con la quale "Reality" ha vari punti di contatto) mostra come sia necessario scegliere una strada - il dramma, lì - per potere portare a conclusione simili percorsi. Pur se è evidente lo sforzo di Garrone d'assumere lo sguardo del protagonista (e, per detta via, di condurre lo spettatore ad una sorta di condivisione), il coinvolgimento nello smarrimento di Luciano non avviene, anzi risulta - a dirla tutta - difficilmente praticabile.

Così, se la mano registica del nostro rimane felice (dell'incipit s'è già detto; ugualmente straordinario lo scioglimento, che chiude il cerchio nel segno d'una fiaba straniante e straniata), il bilancio della pellicola non può dirsi interamente positivo; è come se, ad un certo momento, Garrone avesse creduto sempre meno all'idea di partenza, affidandosi all'estro ed alla bravura di Aniello Arena per poter proseguire. Contributi tecnici di prim'ordine, ovviamente; e un cast affiatato, che trova nelle prove di Loredana Simioli e di Nando Paone i propri vertici.
                                                                                                                                    Francesco Troiano

REALITY. REGIA: MATTEO GARRONE. INTERPRETI: ANIELLO ARENA, LOREDANA SIMIOLI, NANDO PAONE. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA. 115 MINUTI.

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