martedì 20 settembre 2016

La vita possibile

In fuga da un marito violento, che le denunce e le diffide non sono riuscite a tenere a bada, Anna lascia la sua casa a Roma, insieme al figlio tredicenne Valerio. La donna si reca a Torino, dove viene accolta da Carla, attrice di teatro oltre che amica di vecchia data. Preso alloggio nel minuscolo appartamento con soppalco di quest'ultima, felice tanto da accogliere a braccia aperte l'antica sodale ora in difficoltà, Anna si mette in cerca di un lavoro per dare sicurezza a se stessa e al figliolo: ma Valerio soffre per la lontananza dal padre e dagli amici romani; tenta di alleviare la propria difficoltà accompagnandosi ad una prostituta dell'est, che potrebbe esser sorella maggiore, e a un ristoratore francese ex-calciatore, con una pena segreta...

"La vita possibile è un film sulla speranza, sulla forza delle donne, sulla capacità di nascere e rinascere ancora". E' al suo quinto lungometraggio per il grande schermo, Ivano De Matteo: la sua filmografia di regista - è, infatti, anche (e prima) attore - comincia ad essere cospicua, e a richiedere un discorso un poco più articolato. Sin dalla pellicola d'esordio, il cinema del nostro si è caratterizzato per una palese sproporzione fra ambizioni e risultati: in "Ultimo stadio" (2002), le pretese da commedia satirica finivano annegate in caratterizzazioni grottesche, dialoghi imbarazzanti, vicende improbabili. Mutato registro, ne  "La bella gente" (2008) il bersaglio era certa borghesia progressista e ipocrita, incapace di trasformare le proprie idee in azioni: l'andamento della narrazione, però, risultava piattamente televisivo e la storia, meramente dimostrativa. Se "Gli equilibristi" (2012) prendeva di petto l'argomento delle nuove povertà, raccontando di un padre separato lentamente scivolante nella miseria, i toni eran quasi ricattatori, con in più un pietismo fastidioso. "I nostri ragazzi" (2014), pure grazie a un ottimo quartetto d'attori e ad un eccellente romanzo quale fonte d'ispirazione ("La cena" di Herman Koch), è - sino ad oggi - l'opera sua più riuscita: ciò indica che a De Matteo non difettano le capacità di metteur en scene, laddove invece latita la personalità autoriale che egli ambirebbe ad avere.

Quest'ultimo "La vita possibile" conferma, ci sembra, le nostre riflessioni. Alle prese con una famiglia devastata dalla violenza irrefrenabile d'un coniuge indegno, De Matteo sceglie di non scegliere: per tre quarti, il tono è quello del melodramma, con lo sgranarsi di un rosario di difficoltà e dispiaceri per i due fuggiaschi; nell'ultimo quarto, il riscatto ed una prospettiva ottimistica irrompono senza preparazione, quasi si trattasse di un auspicio piuttosto che l'armonico compiersi di una parabola. Il non aver voluto individuare un'opzione precisa sul tono da tenere, si riverbera sul disegno psicologico dei personaggi: su tutti quello di Valerio, la figura più complessa, che appare poco credibile e sbilanciata (un tredicenne con tanta libertà? e un tredicenne d'oggi, che non conosce la realtà del lavoro di una meretrice?). Anna pure, dapprincipio apprensiva per le sorti del ragazzino, pare poi dimenticarsene del tutto; sicché, alla fine, appare messa a fuoco soltanto Anna, sbalestrata ed umana in eguale misura. In definitiva, ancora una volta il cineasta romano non riesce ad essere all'altezza delle proprie pretese: le buone prove degli interpreti - migliore risulta la Golino, alle prese con un personaggio che le è evidentemente congeniale - non bastano a salvare il risultato, confuso e disorientante. Quello di De Matteo, al di là delle lodevoli intenzioni, rischia di essere un cinema senza pubblico e senza critica.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

LA VITA POSSIBILE. REGIA: IVANO DE MATTEO. INTERPRETI: MARGHERITA BUY, VALERIA GOLINO, ANDREA PITTORINO, CATERINA SHULHA, BRUNO TODESCHINI. DISTRIBUZIONE: TEODORA. DURATA: 107 MINUTI.

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