martedì 15 marzo 2016

La corte

Un giovane uomo disoccupato, dopo aver denunciato alla polizia la morte della propria bambina di 7 mesi, ha finito per ammettere di averla ammazzata lui: a calci, dopo averla rinserrata in un ripostiglio, dato che non ne sopportava più il pianto ininterrotto, di giorno e di notte. Ha inizio il processo, e l'unica cosa che l'imputato, ad ogni domanda, risponde, è: "io non ho ucciso Melissa". La madre della piccola vittima, parte civile, nella deposizione si mostra confusa e non si capisce quanto sincera. A presiedere il dibattimento vi è Michel Racine, tanto temuto da essersi guadagnato il soprannome de "il giudice a due cifre": quando è lui a decidere, la condanne non scendono mai al di sotto dei 10 anni. Ma l'andamento di quello che sembra un processo come un altro, per il nostro viene turbato dalla presenza, fra i giurati, di una donna, Ditte Lorensen-Coteret. Sei anni prima, il nostro era stato ricoverato, incosciente, a seguito di un grave incidente: al suo risveglio, in ospedale, aveva visto chino sopra di sé il volto di una anestesista intenta a sorridergli e ad accarezzargli una mano. In una vita povera di affetti, Michel si era innamorato subito di lei, la quale - non avendo percepito il sentimento che l'uomo, impacciato, faticava a comunicarle - non aveva avuto modo di ricambiare...

"Non sono un attore di composizione, non mi strappo i capelli per il Metodo, diciamo che sul set affronto il ruolo con una certa sonnolenza, che giova in generale. Se c'è un metodo Luchini è quello di devitalizzare le intenzioni, rinunciare alla pretesa di 'recitare bene'. In tribunale ho solo assimilato la gentilezza con cui il giudice trattava i testimoni, implacabile però nel dipanare gli indizi a loro carico. Niente altro". Serata d'onore per Fabrice Luchini, con questo "La corte": non solo perché, a Venezia, la giuria ha premiato, giustamente, la sua interpretazione con la Coppa Volpi. Gli è che la parte di questo uomo di legge, autorevole nello svolgimento della propria funzione quanto dimesso nella vita privata (in attesa del divorzio richiesto dalla moglie, abita in una piccola pensione dove si nutre a mele e brodino, rifiuta d'unirsi al cicaleccio dei colleghi e si reca a fare il proprio dovere finanche con la febbre alta), è perfetta per dimostrare quella che Humphrey Bogart definiva la capacità suprema nella recitazione: non far vedere il meccanismo al lavoro. Da quando la storia comincia, la sensazione di naturalezza che egli trasmette allo spettatore è totale, abbacinante: aiutato da un sceneggiatura perfetta - anch'essa insignita al Lido del massimo riconoscimento, l'Osella - e da un'interprete eccelsa (Sidse Babett Knudsen, vincitrice del César per la non protagonista), l'attore fornisce una delle prove più intense della propria carriera (posto che, in un percorso di tal livello, sia possibile individuare un meglio ed un peggio).

Quanto al film, con gli ingredienti sopra descritti, la platea s'attenderebbe un procedural movie nella tradizione statunitense, se non uno di quei courtroom drama che van sempre di moda a Hollywood e dintorni. Invece, si trova davanti ad un'opera sussurrata ed intimista: se la regia di Christian Vincent può a tratti parere notarile, nondimeno risulta pian piano la più adeguata a mettere in scena questa vicenda impalpabile (neppure il colpevole verrà individuato, alla fine), dove al posto dei colpi di scena trionfano le intermittenze del cuore, in luogo delle rivelazioni si fanno strada dei disvelamenti. Per dirla col titolo di un'altra splendida pellicola francese, quello di Racine è un cuore in inverno, ma non nell'accezione di ibernato: invece, caduto in un letargo al quale solo il caso può sottrarlo. E quando quest'ultimo assume i tratti dolci e suadenti di una femmina come Ditte, il risveglio è sicuro.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

LA CORTE. REGIA: CHRISTIAN VINCENT. INTERPRETI: FABRICE LUCHINI, SIDSE BABETT KNUDSEN. DISTRIBUZIONE: ACADEMY TWO. DURATA: 98 MINUTI.  

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