venerdì 5 febbraio 2016

L'ultima parola

1945. A Hollywood, su spinta del Comitato per le attività antiamericane, ha inizio uno tra i periodi più vergognosi nella storia degli Stati Uniti: quello della cosiddetta "caccia alle streghe", caratterizzato dall'evocazione dello spettro comunista - il "fantasma che si aggira per l'Europa", come l'aveva definito a suo tempo Karl Marx, secondo un nugolo d'invasati aveva cambiato coordinate geografiche - e dalla costrizione delatoria. Dalton Trumbo - già sceneggiatore di successo ed autore del romanzo di fervente antimilitarismo"Johnny got his gun" (1938) - viene convocato dall'organismo presieduto dal famigerato senatore McCarthy assieme ad altri 79 colleghi: registi, attori, scrittori. Ciascuno è sospettato di essere stato iscritto al partito comunista: 19 di loro, tuttavia, si rifiutano di far i nomi d'altri affiliati, e ad alcuni si apriranno addirittura le porte del carcere per qualche mese (quelli ribattezzati "i dieci di Hollywood", tra i quali il regista Edward Dmytryk). Tutti, comunque, saranno banditi dalla pavida cineindustria  e, dal 25 novembre 1947, non potranno più dirigere, interpretare, scrivere.

Curiosamente, sull'epoca triste della "black list" - quella dove erano segnati i nominativi dei reprobi - si sono girati pochi film: i più noti restano "Il prestanome"(1976), interpretato da Woody Allen e firmato da Martin Ritt ("blacklisted", come l'attore Zero Mostel e altri collaboratori della pellicola); e "Indiziato di reato" (1991) dove, nella parte del cineasta interpretato da Robert De Niro, si allude a Jospeh Losey. E' quindi benvenuto questo "L'ultima parola", basato su un libro lievemente agiografico di Bruce Cook, in cui si ricostruisce la parabola del sopra citato Dalton Trumbo: dalla vita ricca e serena condotta con la moglie ed i figli al periodo delle difficoltà economiche, risolte dal nostro adoperando vari pseudonimi e lavorando per i fratelli King, sovrani dei B-movie non segnati dal pregiudizio (è fantastica, al riguardo, la sequenza in cui John Goodman - nei panni di uno dei King - insegue con una mazza da baseball chi vuole imporgli di non servirsi della penna di Trumbo).

Qualcuno si sorprenderà che a dirigere quest'opera sobria e commovente sia Jay Roach, noto per le sue commediacce tipo "Ti presento i miei". Bene, egli ha voluto essere coerente con la linea ideale legata al suo cognome (babbo regista di sinistra, internazionalista, amico di Garcia Lorca): pur se la direzione è, a tratti, notarile, a ravvivare il tutto ci pensano gli attori. L'impareggiabile Helen Mirren, a esempio, che dipinge velenosamente la pettegola della Mecca del cinema Hedda Hopper, tutta cappellini e squittii. Il vero atout tuttavia si rivela, nei panni del protagonista, Bryan Cranston, che fornisce una performance superba (nomination meritatissima, la sua), conferendo a Trumbo la fermezza e il calore che gli erano propri. A proposito, ritornando alla Storia, la persecuzione nei confronti del malcapitato finirà solo per merito di Otto Preminger e di Kirk Douglas, che insistono per ottenere la dicitura "written by Dalton Trumbo" nei titoli di testa, rispettivamente, di "Exodus" e di "Spartacus" (entrambi del 1960; gli Oscar vinti sotto falsa firma nel '53 con "Vacanze romane" e nel '56 con "La più grande corrida" gli verranno riconosciuti solo negli anni '70). Bello, e inevitabile, il momento di commozione che chiude la vicenda, con il discorso di Trumbo alla cerimonia di premiazione dalla Writers Guild il 13 marzo 1970: laddove la parentesi maccartista viene definita "an evil time", nella quale non vi sono stati buoni e cattivi, eroi o santi. Ma, esclusivamente, vittime.

L'ULTIMA PAROLA. REGIA: JAY ROACH. INTERPRETI: BRYAN CRANSTON, DIANE LANE, MICHAEL STUHLBARG, DAVID JAMES ELLIOTT, HELEN MIRREN. DISTRIBUZIONE: EAGLE. DURATA: 124 MINUTI.

Nessun commento:

Posta un commento