martedì 9 agosto 2016

Paradise Beach - Dentro l'incubo

Nancy Adams, giovane studentessa universitaria di medicina, ha scelto di recarsi per le vacanze in una suggestiva e solitaria spiaggia messicana dove la sua mamma, scomparsa da poco, era solita andare. L'amica che doveva essere con lei non ha potuto accompagnarla, per i postumi di una serata ad alto tasso alcolico; un uomo del luogo, Carlos, le dà un passaggio sin lì, di poi resta sola con la sua tavola da surf. Sul calar della sera, un paio di giovanotti che si dedicavano al suo sport se ne vanno e Nancy è da quel momento isolata. La tranquillità del luogo s'infrange allorquando al largo appare un cetaceo morto dilaniato e, di seguito, si fa vivo chi l'ha ucciso: un enorme squalo bianco. Nancy si ritrova così a combattere per la vita, pur essendo a soli 200 metri dalla riva; senza nessuno a cui domandare aiuto, dapprima trova precaria salvezza sopra il cadavere della preda e, poi, su una roccia affiorante. La lotta col gigantesco predatore prosegue, ed il trascorrere delle ore rende la situazione vieppiù drammatica...

Noi tutti conosciamo il capostipite di questo particolare sottogenere dell'horror: è "Lo squalo" (1975) di Steven Spielberg. I suoi numerosi epigoni, tuttavia, non ebbero alcuna fortuna, principalmente perché si trattava di pellicole banali e ripetitive, che si limitavano a riprendere pedissequamente le situazioni del geniale apripista. Ciò detto, qualche eccezione la si può trovare, fra opere che s'incentrano sulla durezza dello scontro fra l'essere umano e la natura (un classico già in letteratura, dal "Moby Dick" di Melville in avanti), invece di andar in cerca di brividi a buon mercato. Una è "Open Water" (2003) di Chris Kentis, disavventura di una coppia abbandonata in mare leggibile "come una discesa verso il lutto (il blu)"; in scia si pone ora "Paradise Beach. Dentro l'incubo", che sfrutta un'eguale avversità.

Horror di situazione, similmente ad "Open Water", il film costringe la protagonista a registrare, coi sensi dolorosamente acuiti, il passaggio dall'universo della luce a quello del buio: come ai personaggi di "Un tranquillo week-end di paura" (1972), la natura si rivela matrigna, e gli umani - qui un barbone ladro, in maniera meno crudele dei gozzuti montanari del film di Boorman -  aggiungono solo malvagi sberleffi. L'alternarsi tra tempi d'attesa e repentini scoppi di violenza è gestito in maniera sorniona, ed il racconto cinematografico non perde un colpo, sfruttando bene anche il fascinoso habitat naturale che rende la situazione tanto attanagliante quanto straniante. Pur giocato su un unico registro, "Paradise Beach" è una scommessa vinta, grazie anche allo strabiliante one-woman-show reso dall'intrepida Blake Lively ("Non sono un'atleta, ma per questo film lo sono diventata. Già essere riuscita a girarlo mi ha fatto capire che in realtà sono molto più forte di quanto io non creda"). Lo scioglimento è ben concepito, in un crescendo di suspense resa maggiormente efficace da un uso parco di effetti speciali. A dirigere, c'è lo spagnolo Jaume Collet-Serra, che già aveva dato ottima prova di sé con un potente remake de "La maschera di cera" (2005) e, ancor più, con il disturbante "Orphan" (2009). Qui c'è, inevitabilmente, meno spazio per l'originalità, ma il cineasta iberico si conferma tra i nomi sui quali poter contare per il futuro del cinema orrorifico.
                                                                                                                                     Francesco Troiano


PARADISE BEACH - DENTRO L'INCUBO. REGIA: JAUME COLLET-SERRA. INTERPRETI: BLAKE LIVELY. DISTRIBUZIONE: WARNER. DURATA: 85 MINUTI. 

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