lunedì 20 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street

Jordan Belfort ha l'ambizione di diventare un broker di successo, nella New York degli anni Novanta. Assunto dalla L.F. Rothschild il 19 ottobre del 1987 e iniziato a tecniche di sopravvivenza finanziaria da Mark Hanna, yuppie che ce l'ha fatta tirando cocaina e masturbandosi compulsivamente, è "digerito" e rigettato da Wall Street in un unico giorno, a seguito del collasso del mercato. Ambizioso e motivato, Jordan riesce a tornare in pista fondando la Stratton Oakmont, agenzia di brokeraggio che ben presto gli procura fortuna, soldi, donne, amici, nemici e droga. Separatosi dalla prima moglie, troppo normale per adattarsi agli eccessi del marito, Jordan corteggia e impalma in seconde nozze la bella Naomi, che in breve diviene la madre dei sue due figli - oltre che eredi d'un regno fondato sull'estorsione criminale dell'alta finanza. Ma un'inchiesta dell'FBI segna l'inizio della fine: la situazione, gestita in maniera a dir poco arrogante e dissennata dal nostro, porta le cose al punto di rottura. Mentre la consorte e i sodali si defilano rapidamente, Jordan è costretto dagli eventi a diventare un "collaboratore" di giustizia ed a denunciare i propri compagni di scorrerie: scontata una breve pena carceraria (tra gli agi che la sua ricchezza comunque gli assicura), appena uscito tiene corsi di business motivazionale e, soprattutto, non vede l'ora di ricominciare...

"Ho fatto film su criminali e gangster e il pubblico è sempre venuto a vederli, attratto dall'autenticità e dal rispetto della verità. Quindi niente di edulcorato per renderli simpatici, ma la stessa cura con cui racconteremmo un pezzo iconico di storia e letteratura americana, per quanto insano sia". Così parlò Martin Scorsese, probabilmente il maggior cineasta vivente, introducendo questo suo ultimo "The Wolf of Wall Street", imperioso capo d'opera che ne conferma lo stato di grazia dopo l'indimenticabile "Hugo Cabret" (2011). Stupisce, ogni volta, l'enorme duttilità del regista italo-americano: dai toni trasognati di favola del precedente lungometraggio, si passa senza soluzione di continuità a quest'incubo barocco, sfaccettato, coloratissimo, narrato e montato in maniera vorticosa, l'equivalente - per dirla con Edgar Allan Poe - di una discesa nel maelstrom. La follia smisurata, ipertrofica, survoltata raccontata nel libro biografico eponimo - scritto proprio da Jordan Belfort - assume sullo schermo la forma d'una sfilata di iperboli: dallo yacht di Coco Chanel alle Ferrari e Lamborghini, dai party selvaggi al lancio di nani usati come freccette per il tiro al bersaglio, il film allinea immagini spiazzanti ed atroci con uno stile che non sarebbe dispiaciuto allo Stroheim di "Greed" (1924), però infilato in una centrifuga assieme ad alcool, stupefacenti e chissà cos'altro.

Abbiamo citato il maestro austriaco perché soltanto risalendo al suo cinema si può trovare un attacco tanto corrosivo, insidioso ai miti fondanti degli Stati Uniti: l'ambizione individuale come forza propulsiva della nazione, la ricerca ossessiva del profitto, il benessere come giusto compenso alle proprie fatiche secondo l'etica WASP. Girato come in stato di ebbrezza, il film trascina - è il caso di dirlo - lo spettatore in un tour de force di tre ore (che non si avvertono minimamente) al termine del quale gli si lascia piena libertà di parteggiare per il delinquente "simpatico" o per l'anodino funzionario di giustizia che, alla fine, riesce ad incastrarlo. Genialmente, alla maniera di un redivivo Rossellini sotto LSD, Scorsese mostra, non dimostra. E lo fa con un'opera attraente e repulsiva, lancinante e contraddittoria, in cui Leonardo DiCaprio giganteggia come non mai - prenotandosi per un Oscar che, a questo punto, sarebbe mero accanimento non assegnargli.
                                                                                                                                   Francesco Troiano

THE WOLF OF WALL STREET. REGIA: MARTIN SCORSESE. INTERPRETI: LEONARDO DICAPRIO, JONAH HILL, JEAN DUJARDIN, MATTHEW McCONAUGHEY. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 180 MINUTI.

giovedì 9 gennaio 2014

Il capitale umano

Un cameriere da catering, mentre ritorna a casa a notte fonda con la sua bicicletta, viene schiacciato da un Suv, proveniente dalla direzione opposta: chi guida lo lascia lì, agonizzante, senza soccorrerlo. L'incidente fa incrociare le vite di due famiglie diversamente collocate nella scala sociale brianzola, gli Ossola ed i Bernaschi. Dino Ossola è un immobiliarista che smania per entrare nel numero delle persone che contano, però lo fa in maniera velleitaria e cialtrona; è legato a Roberta, psicologa ed incinta, innamorata del proprio compagno ma solidamente coi piedi per terra. Giovanni Bernaschi è un broker di successo, al quale piace vincer tutte le sfide e che non si fa troppi scrupoli per riuscirci; sua moglie Carla è una creatura ricca ed infelice, che cerca di riempire le proprie giornate prive di senso con il mecenatismo culturale e le attività benefiche. Infine Serena Ossola e Massimiliano Bernaschi, rampolli delle rispettive famiglie: la prima è sensibile ed in cerca di rapporti umani veri, il secondo viziato e inconcludente.

"Mi sono accostato alla Brianza ghiacciata come Ang Lee all'America in 'Tempesta di ghiaccio', con lo spirito d'un esploratore in un luogo esotico. Ho pensato a 'Fargo' dei Coen, a 'Il falò delle vanità', ma anche alla Treviso di 'Signore & signori' di Germi. Ho scelto un territorio dove il riverbero dell'economia sulla vita delle persone è più significativo". Aveva intenti assai ambiziosi, Paolo Virzì, nell'adattare per lo schermo il romanzo di Stephen Amidon "Il capitale umano", trasferendone dal Connecticut ad Ornate Brianza l'ambientazione. Voleva parlare di molti ed attualissimi argomenti che riguardano l'Italia: "l'ispirazione alla ricchezza facile, i conflitti generazionali in questa epoca particolare, il valore in denaro di una vita umana, il prezzo pagato dai più giovani e i più poveri". Gli è riuscito tutto a meraviglia: al punto che questo suo undicesimo lungometraggio può dirsi, per certo, il più riuscito nella sua carriera, frutto d'una piena maturità d'autore.

Spenti i toni della commedia, il cineasta livornese si cala con le armi dello psicologo - meglio, dello speleologo - sociale nel ventre d'una certa borghesia lombarda pigliando delle note pungenti, con un'amarezza di fondo che non gli conoscevamo. Se si escludono un paio di secondarie scivolate (una macchiettistica riunione di esperti teatrali, lo scioglimento magari un tantino elusivo), il film viene padroneggiato con maestria su qualsivoglia registro, compreso quello dell'ironia cattiva (l'irresistibile scena di erotismo presunto, davanti ad un vecchio film di Carmelo Bene, tra Carla ed un professorino di storia del teatro). Ne esce il ritratto d'un paese alla deriva, costretto fra inconcludenza e rapacità, percorso da personaggi sciagurati od inattendibili: ed ogni cosa vi suona veritiera, reale, attendibile. E' doveroso aggiungere che "Il capitale umano" è tra i (pochi) titoli che dimostrano la ricchezza e validità del nostro parco attori: spesa una parola di lode per gli esordi di Guglielmo Pinelli (Massimiliano) e Matilde Gioli (Serena), diremo che nei panni di Giovanni Bernaschi eccelle Fabrizio Gifuni, supponente e cinico quanto il ruolo richiede, laddove Valeria Bruni Tedeschi (la consorte) trova il giusto mix di partecipazione e distacco nel suo ritratto di donna inutile; il Dino Ossola di Fabrizio Bentivoglio è calibrato sulla misura d'un individuo patetico nella sua smargiasseria, mentre con Roberta azzecca il tema d'una misurata umanità la sempre duttile Valeria Golino. Per noi, il miglior esito italiano, sino ad ora, della stagione.
                                                                                                                                     Francesco Troiano