tag:blogger.com,1999:blog-29904415021462821162024-03-08T04:06:33.334+01:00Tempi ModerniLa videorivista di cinemaAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.comBlogger225125tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-2227302421730269622017-04-12T17:39:00.003+02:002017-04-12T18:02:03.048+02:00Le cose che verranno<div style="text-align: justify;">
Nathalie Chazeau, insegnante di filosofia in un liceo di Parigi, è sposata da cinque lustri con il collega Heinz, ha due figlioli ed una madre fragile, che necessita di continue attenzioni. Un tempo appassionata sostenitrice d'idee rivoluzionarie, ha convertito l'idealismo degli anni verdi "nell'ambizione più modesta d'insegnare ai giovani a pensare con la propria testa" e propone ai propri studenti testi che favoriscano il confronto e la discussione. La sua esistenza - che divide fra gli obblighi familiari ed un lavoro che ama - all'improvviso è travolta da una serie di eventi negativi: la mamma muore (lasciandole la gatta Pandora, alla quale è allergica, da accudire), la collana specializzata che curava per una casa editrice è soppressa, il marito le preferisce un'altra donna. Senza preavviso, Nathalie si trova da sola con tutto da ricostruire, potendosi basare sulla complicità intellettuale di un ex-studente e il pragmatismo che mai le è mancato...</div>
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Classe 1981, Mia Hansen-Love si conferma con questo "L'avenir" - il titolo italiano rende il senso, ma non la temperie - uno tra i maggiori talenti della sua generazione a livello internazionale. Già con l'opera d'esordio, "Tout est pardonné" (2007), s'era fatta notare alla Quinzane des Réalisateurs di Cannes. Il secondo film, "Il padre dei miei figli" (2009), sempre presentato nel contesto cannense, guadagnava il premio speciale della giuria nella sezione Un Certain Regard. Il 2011 è l'anno dello splendido "Un amore di gioventù", menzione speciale al Festival di Locarno. Nel 2014 in anteprima al Festival di Toronto viene presentato l'intenso "Eden". Ora, insignita dell'Orso d'Argento per la miglior regia alla Berlinale, la cineasta trova un prestigioso riconoscimento a suggellare la prima parte della sua carriera.</div>
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Nelle immagini incipitarie, Nathalie ed i suoi visitano la tomba di Chateaubriand sull'isolotto di Grand Bé, a 400 metri da Saint-Malo. E' una sorta d'indicazione metodologica: se è "Il perdente radicale" di Enzensberger il primo dei molti testi filosofici citati nel corso della narrazione, dei filosofi evocati - da Rousseau ad Adorno, da Schopenhauer a Horkheimer, da Aron a Jankélévitch - nello snodarsi della vicenda, non si deve pensare ad un gusto snobistico, ad una mera civetteria da intellettuali. Gli è che la cultura è individuata dalla protagonista come uno strumento di resistenza agli agguati del destino, allo scorrere implacabile dei giorni, ad una volgarità imperante cui non ci si rassegna. Non è che Nathalie nutra soverchie illusioni (anche se, quando il coniuge annuncia la volontà di rompere, non può evitare di dirsi: "Pensavo che mi avresti amata per sempre. Che cogliona!"), ma l'ottimismo della volontà certo la guida nel suo rapporto con gli studenti, l'approccio all'esistere resta positivo pur se le cose - la collana editoriale come il matrimonio - si sfarinano celatamente. In questa leggerezza di tocco nel gestire una materia ove ogni cosa succede sotto traccia, non grida non drammi, sta la maestria della Hansen-Love: capace di chiudere con un finale memorabile, in cui a Nathalie è dato d'abbracciare il piccolo erede che le ha donato la figlia, mentre all'ex-marito tocca tornare alla sua coazione al piacere senza soddisfazioni. Pur in un cast affiatato e di alto livello, giganteggia una Isabelle Huppert per la quale davvero non basta alcuna professione di stima: quando compare sullo schermo, la magia del cinema - puntuale - si realizza.</div>
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Francesco Troiano</div>
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LE COSE CHE VERRANNO. REGIA: MIA HANSEN-LOVE. INTERPRETI: ISABELLE HUPPERT, ANDRE' MARCON, ROMAN KOLINKA, EDITH SCOB. DISTRIBUZIONE: SATINE FILM. DURATA: 100 MINUTI.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-54778749280750662172017-04-05T17:07:00.000+02:002017-04-05T17:12:48.541+02:00L'altro volto della speranza<div style="text-align: justify;">
Khaled, rifugiato siriano scampato agli orrori di una guerra che ha sterminato quasi per intero la sua famiglia, giunge a Helsinki con l'intento di domandare asilo politico seguendo il regolare e legale iter burocratico; per, successivamente, mettersi alla ricerca - con l'appoggio delle autorità - della sorella Miriam, alla quale non è riuscito di passare il confine. Quando però il permesso di rimanere gli viene rifiutato, scappa e trova rifugio nel cortile di un piccolo ristorante (sito in uno sperduto quartiere della città), che è stato appena acquistato da tale Wikstrom. Costui, già rappresentante di camicie, ha lasciato moglie e lavoro per cambiare vita. Alla guida di un surreale, improbabile team di sala, la piccola brigata - alla quale anche Khaled si è aggiunto - cerca di portar un po' di clientela a "La Pinta Dorada", magari trasformandola in un locale alla moda dove si serve sushi...</div>
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Orso d'argento per la regia all'ultima edizione del Festival di Berlino, "L'altro volto della speranza" è il pannello centrale del trittico "del porto", iniziato con "Miracolo a Le Havre" (2011) e destinato a concludersi con una "commedia felice". Il cinema di Kaurismaki, tanto poco prolifico quanto amato da una ristretta cerchia di aficionados, col tempo ha subito delle variazioni. Nei film del suo primo periodo, ogni tentazione poetica veniva ricondotta a terra da una società incombente sui destini di tutti: un mondo privo di luce che trovava conforto od annullamento nell'alcol, attraversato da ingiustizie sociali e contraddistinto da improvvise esplosioni di violenza. Dipoi, pur nel rispetto di una poetica di filiazione marxista, il nostro dà vita ad un processo di sublimazione della materia narrativa: quasi priva di dialoghi e di eventi clamorosi (e con un senso dell'assurdo tuttavia mai enfatizzato), ci viene sciorinata sotto agli occhi una realtà che pare al tempo medesimo vicina e lontana, quotidiana e surreale, disperata e tenera.</div>
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E' in questa seconda fase che il cineasta finlandese licenzia gli esiti più alti: "L'uomo senza passato" (2002), favola dolce e poetica che Aki - autore pure della sceneggiatura - trasforma in una travolgente riflessione sull'opportunità delle persone di "rinascere" a fronte delle violenze della società; "Le luci della sera"(2006), sconsolato ritratto di matrice chapliniana su un perdente deciso a non dar via la propria dignità di uomo, dato che solo quella gli resta; il già citato "Miracolo a Le Havre", in cui - evitando pacchiane bellurie estetiche - fa trionfare per una volta il sogno sulla disperazione. E' su quest'ultima scia tematica che si pone pure "L'altro volto della speranza": tra canzoni country e blues, sfila davanti alla cinepresa un'umanità bizzarra ed emarginata, per la quale la solidarietà è prassi prima ancora che valore. Con il consueto, magistrale uso del colore, in bilico tra surreale ed iperreale, il regista ci illustra l'Europa degli egoismi diffusi, descritta con la sua ironia stralunata, percorsa dalla sua morale eccentrica. Sequenze come l'incontro fra Khaled e Miriam, all'insegna di una commozione rattenuta dal pudore, o l'indimenticabile finale agrodolce che non vi sveliamo, dicono di una maestria registica che ha pochi eguali.</div>
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Francesco Troiano</div>
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L'ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA. REGIA: AKI KAURISMAKI. INTERPRETI: SHERWAN HAJI, SAKARI KUOSMANEN. DISTRIBUZIONE: CINEMA. DURATA: 108 MINUTI.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-36860478480038785742017-03-28T17:49:00.000+02:002017-03-28T17:57:35.517+02:00Il permesso<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: 17px; line-height: 23px;">Quattro persone, detenute nel carcere di Civitavecchia, escono con un permesso di 48 ore: la giovane Rossana, arrestata in aeroporto in quanto trafficante di cocaina; Luigi, sulla cinquantina, condannato per due omicidi a causa dei quali ha già scontato oltre tre lustri di pena; Angelo, 25 anni, finito in prigione per una rapina commessa con complici che tuttavia mai ha tradito; Donato, 35enne, in detenzione pur essendo egli innocente. Ognuno si sforza d'inventarsi un'altra esistenza, nel breve arco di tempo concesso; tra frustrazioni, rabbie, sconfitte, alle prese con i cambiamenti apportati dal tempo durante la loro assenza, alla fine prenderanno strade diverse ma per ciascuno sarà una scelta di svolta.</span><span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 14px; font-weight: 300; line-height: 21px;"></span></div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
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Il noir nostrano ha una parabola singolare: fatte salve le prove d'autore (si va dal mirabile adattamento del "Pasticciaccio" gaddiano allestito nel 1959 da Pietro Germi con "Un maledetto imbroglio", a talune isolate e difficilmente classificabili piccole gemme sul tipo di "Senza sapere niente di lei", firmato nel 1969 da Luigi Comencini), le prime prove significative del "genere" si possono fare risalire ad un artigiano colto e non privo di gusto come Mino Guerrini ("Omicidio per appuntamento", 1967; "Gangsters '70", 1970) o ad un atipico di talento quale Romolo Guerrieri ("Un detective", 1969). Però il maestro indigeno rimane senza dubbio Fernando Di Leo, che rilasciò una trilogia - "Milano calibro 9" e "La mala ordina" (1972); "Il boss", (1973) - degna del migliore polar d'oltralpe.</div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
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Di poi, come ognun sa, il cinema medio italiano è praticamente sparito, alla metà degli anni '80, incluso il nero autarchico: è la serie televisiva "Gomorra" e certi nuovi titoli per le sale, su tutti "Suburra" (2015), ad aver riportato in auge personaggi e stilemi di un universo filmico del quale s'eran perse le tracce. Dietro a tutto, a parte l'opera narrativa di Roberto Saviano, c'è la passione ed il talento di Stefano Sollima (chiamato già dagli States per il futuro), regista di polso sulle orme dell'indimenticato padre Sergio. Codesto lungo prologo serve ad introdurre "Il permesso", seconda prova dietro la macchina da presa di Claudio Amendola, dopo il riuscito esordio de "La mossa del pinguino" (2014). L'attore e cineasta romano ha scelto di passar dalla commedia agrodolce ad atmosfere e tematiche che ben si addicono alla sua figura di vilain disilluso e in cerca di pace; non a caso è il suo personaggio, Luigi, il più riuscito della pellicola, con una maschera che ricorda quella di un Lino Ventura. I co-protagonisti, di contro, risultano meno a fuoco, pur se l'insieme è assolutamente dignitoso: a far da valido collante, c'è da ricordarlo, un soggetto garantito dalla firma di Giancarlo De Cataldo. In definitiva, un'opera che non delude e in nulla arretra rispetto alla precedente; lascia soltanto intravedere, se proprio un appunto si vuol fare, le potenzialità che Amendola fa mostra di oramai possedere.</div>
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Francesco Troiano </div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
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IL PERMESSO. REGIA: CLAUDIO AMENDOLA. INTERPRETI: LUCA ARGENTERO, CLAUDIO AMENDOLA, GIACOMO FERRARA, VALENTINA BELLE'. DISTRIBUZIONE: EAGLE PICTURES. DURATA: 91 MINUTI.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-88607938478358628062017-03-22T17:31:00.002+01:002017-03-22T17:31:41.854+01:00Elle<div style="text-align: justify;">
Mentre sta chiudendo una porta-finestra della sua elegante abitazione parigina, Michèle viene assalita da uno sconosciuto che la prende a pugni e calci, la getta sul pavimento, la immobilizza e con spietatezza abusa sessualmente di lei. Rialzatasi, una vasta ecchimosi sul volto di cui non alcuno le domanderà mai la ragione, si appresta a preparare il sushi per il figlio. Tutto sembra svanito, una brutta avventura e basta. In realtà, la violata ha dimestichezza con l'orrore sin da quando era solo una bambina: suo padre, uomo molto religioso, uscito di casa finì per sterminare 27 persone, nel corso di un attacco di follia. Lo stupro - che, in ogni caso, Michèle non ha l'intenzione di denunciare - viene fuori sere dopo come nulla fosse, mentre pasteggia a champagne con degli amici. Dipoi, ella fa cambiare le serrature di casa, acquista uno spray urticante e un martello, quasi in previsione del fatto che il violentatore si rifarà vivo...</div>
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Erano dieci anni ed oltre che non si sentiva parlare di Paul Verhoeven: dopo quel "Black Book" (2006) che segnava il ritorno a girare in Europa del regista olandese, noto al grande pubblico soprattutto per il successo di scandalo di "Basic Istinct"(1992); thriller di filiazione hitchcokiana, dove egli riprendeva in maniera spettacolare ed effettistica il tema della donna mantide, già sviluppato - ed assai meglio - ne "Il quarto uomo" (1983). Verhoeven è cineasta che non ha in genere goduto di buona critica: discontinuo certo, andrebbe ricordato - oltre per i titoli di cui sopra - almeno per "Robocop" (1987), ove acutamente smontava i meccanismi della science fiction cinematografica, ibridandola con il poliziesco di revenge.</div>
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Il fatto che, quasi 80enne, egli abbia deciso di adattare per il grande schermo "Oh..." di Philippe Djian (già con un'opera sua dietro al discusso, e virtuosistico, "Betty Blue", firmato nel 1986 da Jean-Jacques Beineix), è una scelta singolare. Intendiamoci, c'erano spunti di sesso e brutalità che sicuramente sono congruenti col suo universo d'autore: ciò che sorprende, tuttavia, è lo sviluppo e l'impostazione che egli ha scelto, sin dalla decisione di mutare il titolo. "Elle", in verità, non indica il concentrarsi in maniera esclusiva sulla sua protagonista (anche se è di continuo al centro della scena): no, Michèle è più un polo d'attrazione attorno al quale ruotano una serie di rapporti, reale motivo d'interesse del nostro. Al quale dello scioglimento del plot poco importa (l'identità del colpevole si evince con facilità), laddove invece vetrioleggia con una cattiveria davvero chabroliana la borghesia di successo che campeggia nella storia. </div>
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Isabelle Huppert, infine. Chi scrive la ritiene miglior attrice vivente in assoluto. Se ne occorresse una riprova ulteriore, si veda la divertita maestria con la quale ella affronta un personaggio azzardoso, a dir poco: basti la maniera insinuante in cui suggerisce una sorta di morboso compiacimento nella situazione venutasi a creare, la morbidezza con cui seduce un vicino di casa appena conosciuto sotto gli occhi della di lui moglie, i lampi di feroce sarcasmo che lascia guizzare durante una cena di Natale. O quel momento, sublime, in cui - direttrice di un laboratorio che produce videogame di fantaerotismo - si trova ad ammonire: "quegli orgasmi femminili sono troppo timidi!". La sua performance ha per motore l'ambiguità: nessuno sa renderla con altrettanta naturalezza. Se il film di Verhoeven è, a nostro avviso, il migliore della stagione, massima parte del merito va a questa interprete straordinaria. Isabelle. Elle.</div>
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Francesco Troiano</div>
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ELLE. REGIA: PAUL VERHOEVEN. INTERPRETI: ISABELLLE HUPPERT, LAURENT LAFITTE, ANNE CONSIGNY, CHARLES BERLING, VIRGINIE EFIRA. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 130 MINUTI.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-21650683843584176522017-03-15T17:08:00.001+01:002017-03-15T17:08:35.449+01:00Loving<div style="text-align: justify;">
Richard Loving, muratore bianco, e Mildred, ragazza di colore, si amano e - quando lei già aspetta un bambino - decidono di sposarsi e si apprestano a costruire una casa sulla terra appena acquistata. Però, nella Virgina segregazionista del 1958, tali nozze costituiscono un reato: pur se regolarmente celebrate a Washington, conducono i coniugi ambedue in prigione. Con il soccorso di un legale, riescono a uscirne a patto di trasferirsi nello stato di Washington: un esilio destinato a durare 25 anni, e che mette ad assai dura prova la forza d'animo della coppia. Finché un giovane avvocato, membro di un'associazione nata per difendere i diritti civili, non perora la loro causa: la sentenza, pronunciata dalla Corte Suprema degli Usa il 12 giugno del 1967 (da allora simbolo del diritto di tutti ad amarsi liberamente, senza distinzione alcuna di razza), pone termine alla questione, dopo un lunghissimo calvario per gli incolpevoli Loving.</div>
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Raccontata per la prima volta sul grande schermo nel 1996 nel film televisivo "Mr & Mrs Loving", per la regia di Richard Friedenberg (interpreti, Lela Rochon e Timothy Hutton), ritornata in auge grazie a "The Loving Story", documentario della HBO del 2012, la vicenda della contrastata unione dei Loving (nomen omen) viene portata ora al cinema da Jeff Nichols, che sceglie un approccio alla materia di tipo anti-hollywoodiano: la prevedibile esazione della lacrima è evitata puntando tutto sull'antiretorica, con un effetto di "raffreddamento" della temperie emotiva che a taluno potrà, forse, parer financo eccessivo. In ogni caso, grazie alla bravura degli attori, l'australiano Richard Edgerton e l'etiope Ruth Negga (che era candidata all'Oscar quale miglior protagonista), il film risulta abbastanza coinvolgente - e difatti a Cannes, lo scorso anno, venne accolto da una commossa standing ovation.</div>
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Qualcosa converrà aggiungere sull'elevato numero di pellicole che ruotano intorno alla negritudine ed ai problemi a essa connessi testé giunta nelle sale: da "Barriere" a "Moonlight" (premiato con l'Oscar), da "Il diritto di contare" a questo "Loving", senza contare i numerosi documentari prossimi venturi (da non perdere quanto meno "I Am Not Your Negro" di Raoul Peck, che prende le mosse dagli scritti di James Baldwin). Probabilmente dovuta alle polemiche degli Oscar dell'anno scorso, privi di riconoscimenti per i "black", tale abbondanza ha prodotto risultati magari non eccelsi, tuttavia sempre interessanti. Chi scrive, all'impianto fototeatrale di "Barriere" come alle pretese "arty" di "Moonlight", preferisce di gran lunga la narrazione tradizionale de "Il diritto di contare" (che con "Loving" condivide sia l'epoca sia il luogo), dove una sottile vena ironica stempera la tensione e rende palpabile la soperchieria sistematica perpetrata ai danni della comunità nera: persino nei confronti di matematiche di prim'ordine, impegnate nella spedizione in orbita dell'astronauta John Glen. L'importanza di ricordare quello che avveniva alle giovani generazioni è il compito primario di operazioni del genere: la memoria è utile e va coltivata, in epoca in cui antichi razzismi con forme aggiornate sembrano stare prendendo piede su tutto il pianeta.</div>
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Francesco Troiano</div>
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LOVING. REGIA: JEFF NICHOLS. INTERPRETI: JOEL EDGERTON, RUTH NEGGA. DISTRIBUZIONE: CINEMA. DURATA: 123 MINUTI.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-60666749900833158272017-03-07T11:34:00.002+01:002017-03-07T11:49:51.134+01:00Questione di karma<div style="text-align: justify;">
L'esistenza di Giacomo, rampollo d'una famiglia d'industriali, è stata condizionata dalla morte del padre, suicidatosi sotto i suoi occhi quando aveva appena quattro anni. Una volta cresciuto, più che occuparsi dell'azienda, ha preferito dedicarsi alle sue mille passioni. Incapace di superare il trauma che ha subito da piccino, a un certo punto s'affida alla teoria della reincarnazione: rintracciato un eccentrico e anziano esoterista, ne ricava l'indicazione che il genitore riviva in un tal Mario Pitagora, squattrinato in cerca di colpi di fortuna, perseguitato per debiti da decine di persone. Scaltrito imbroglioncello privo di scrupoli, il presunto reincarnato comprende ben presto di poter cavare ampi vantaggi dalla credulità di Giacomo: così, decide di accettare la propria parte nella recita. Ma gli esiti saranno differenti da quelli previsti...</div>
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Sulla scorta del successo di "Se Dio vuole" (2015), suo fortunato esordio alla regia, Edoardo Falcone ci riprova con questo "Questione di karma", riprendendo la formula del buddy movie e - anzi - strizzando l'occhio ai classici del genere. L'inizio, con la voce off del protagonista che riassume gli eventi, è già la dimostrazione dell'inattendibilità dell'assunto: poi, la narrazione si avvia stentatamente, ripetitiva e con l' andamento rallentato dalle conseguenze che la situazione comporta nelle famiglie delle due figure centrali. La seconda parte vede il ritmo crescere, alcune buone trovate farsi strada e taluni dei personaggi - l'ottimo Germano, su tutti, ma pure la caratterizzazione di Eros Pagni lascia il segno - acquistare spessore, fino a un doppio finale non sgradevole, comunque un tantino pleonastico.</div>
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Fin qui il giudizio sulla pellicola, ma ci pare occorrano considerazioni più generali. Nel 1970, parlando della commedia all'italiana, Goffredo Fofi scriveva che essa riscattava "quel po' di satirella di costume con tante ma tante concessioni alla furbizia, alla super-virilità, al qui nessuno è fesso, al qualunquismo, alla chiusura mentale e affettiva (gabellata per sentimentalismo familiare), in una parola alla a-moralità bassamente moralistica abbandonata dai padroni e dai preti, che da un pezzo ne fanno a meno, ai piccolo-borghesi, sempre scontenti di tutto e sempre paurosi di ogni cambiamento e soddisfatti solo di sé". D'accordo, si era in un periodo particolarmente "caldo" e certi giudizi suonan magari adesso troppo riduttivi o determinati da polemiche politiche contingenti: tuttavia, ci chiediamo cosa si potrebbe dire oggi delle incursioni nel comico-brillante, che sono l'unica strada percorsa dalla cinematografia indigena da decenni.</div>
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Se le opere criticate dal Fofi all'epoca (e dalla maggior parte della critica nostrana, anche quella togata e ufficiale), erano firmate da registi del calibro di Risi, Monicelli, Comencini, come argomentare sull'oggi dei Falcone e dei Ponti, dei Miniero e dei Genovese (del quale il riuscito "Perfetti sconosciuti" si può considerare l'eccezione e non la regola, viste le sciocchezze che l'han preceduto copiose)? Che manca del tutto il coraggio e la voglia di alzare la posta, da parte di produttori che non azzardano, sceneggiatori che non graffiano, cineasti al più notarili nelle loro messe in scena. In lavori quali "Una vita difficile", "Il sorpasso", "La visita", "Io la conoscevo bene", "La grande guerra", "Tutti a casa", "C'eravamo tanto amati", non si tremava di fronte a narrazioni adulte, a conclusioni amare o esplicitamente tragiche. E, partendo ora da presupposti meramente commerciali e dal terrore di inquietare le platee, "Questione di karma"- come tanti prima e, temiamo, dopo - non può essere altro che l'ennesima occasione perduta.</div>
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Francesco Troiano</div>
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QUESTIONE DI KARMA. REGIA: EDOARDO FALCONE. INTERPRETI: FABIO DE LUIGI, ELIO GERMANO, ISABELLA RAGONESE, EROS PAGNI, STEFANIA SANDRELLI. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 87 MINUTI. </div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-80688392318924111442017-03-01T11:39:00.004+01:002017-03-01T11:39:57.259+01:00La legge della notte<br />
<div style="font: normal normal normal 12px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Reduce dalla Prima Guerra Mondiale, Joe Coughlin si definisce un fuorilegge anticonvenzionale per il fatto di essere il figlio del Vice Sovrintendente della polizia di Boston, che ha - ovviamente - ripudiato assieme ai di lui insegnamenti. Divenuto un criminale nell'epoca del proibizionismo e trovato il suo posto nella guerra tra irlandesi e italiani, vive tra bottiglie di champagne, club fumosi e banditi trucidati nei modi più immaginosi. Indeciso sulla propria vocazione, Joe non è a suo agio nei panni del gangster e adopera malvolentieri la pistola: innamoratosi di Emma Gould, la donna del boss, finisce pestato dagli uomini del medesimo e condannato a morte. A salvarlo è l'intervento del padre, che tuttavia non fa sconti: lo consegna ai suoi che - prima di spedirlo in prigione - completano il trattamento a base di calci e pugni. Scontata la pena, egli accetta la proposta di Maso Pescatore, padrino mafioso che lo invia a Tampa per proteggere i suoi interessi e contrabbandare rhum. Nuovamente "fallen in love", stavolta per una bellezza del luogo, vede il proprio business intralciato prima degli incappucciati del potente Ku Klux Klan della zona, poi dal radicalismo religioso di una giovane donna predicatrice e dalle ambizioni di Pescatore, che vuole venga aperta una casa da gioco. Questa volta, per forza di cose, dovrà mettere mano alle armi e tramutarsi in quell'assassino che era assai restio a diventare...</div>
<div style="font: normal normal normal 12px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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Regista tra i più interessanti dell'ultima leva, Ben Affleck torna per il suo quarto lungometraggio ad un romanzo di Dennis Lehane, alla cui opera si era già aspirato per il suo bel debutto dietro la macchina da presa: il solido "Gone Baby Gone" (2007), bene interpretato da suo fratello Casey e da uno strepitoso Ed Harris. Ancor meglio gli sarebbe andata con il successivo "The Town" (2010), dove - adattando il riuscito libro di Chuck Hogan "Il principe dei ladri" - costruiva un potente racconto noir, a metà fra le atmosfere letterarie d'un Edward Bunker e l'esattezza sociologica d'uno Scorsese. Le ambizioni, dipoi, s'alzano ulteriormente con "Argo" (2012), thriller ed ironia mescolati sapientemente dentro una messa in scena di classica sobrietà, capace di veicolare pure un interessante ed ironico discorso sulla macchina cinema.</div>
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<div style="font: normal normal normal 12px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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<div style="font: normal normal normal 12px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Insomma, c'erano tutte le basi per attendersi da "La legge della notte" un risultato di prim'ordine, a cominciare dalla prediletta Boston quale teatro della vicenda e dall'ambientazione nell'America violenta del proibizionismo. Pure porre al centro degli accadimenti un delinquente dall'allure "good guy - bad guy", pareva un'idea stimolante e foriera di possibili interessanti sviluppi. Invece, la forza stilistica dimostrata in precedenti prove dal nostro qui risulta alquanto affievolita: tra contrabbandieri e "speakeasy", mitra e Borsalino, femme fatale e solitudine urbana, quello che ci scorre sotto gli occhi è un universo rigurgitante di stereotipi più che iconizzato. Forse intimorito dal confronto con le grandi pellicole del "genere", Affleck preferisce andare sul sicuro e non osare più che tanto. Intendiamoci, il film non manca di smalto e ritmo nella prima parte, impeccabile nella ricostruzione d'epoca, movimentata da inseguimenti e da colpi di scena. Dipoi, le giravolte della trama si fanno eccessive, le caratterizzazioni dei personaggi poco credibili (su tutti, primeggia in negativo Remo Girone, che sembra ancora essere fermo alle ridondanze de "La Piovra"), i finali si accumulano senza coinvolgere la platea che, alla lunga, rimane frastornata e poco convinta. Insomma, una sorta di battuta d'arresto per un cineasta che, comunque, certo non difetta d'ispirazione e siamo certi non mancherà, al più presto, di dimostrarlo nuovamente.</div>
<div style="font: normal normal normal 12px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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<div style="font: normal normal normal 12px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
LA LEGGE DELLA NOTTE. REGIA: BEN AFFLECK. INTERPRETI: BEN AFFLECK, ZOE SALDANA, CHRIS SULLIVAN, ELLE FANNING, SCOTT EASTWOOD, SIENNA MILLER. DISTRIBUZIONE: WARNER. DURATA: 128 MINUTI.</div>
<div style="font: normal normal normal 12px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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<div style="font: normal normal normal 12px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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<div style="font: 12.0px Helvetica; margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Times;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Helvetica; font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: 12px;"><br /></span></span></span></span></div>
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<div style="font: 11.0px Helvetica; margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: "times";"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: "helvetica"; font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: 11px;"><br /></span></span></span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-84534709832112416842017-02-13T17:24:00.002+01:002017-02-13T17:35:19.861+01:00Jackie<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;">Jacqueline Kennedy aveva solo 34 anni quando suo marito venne eletto Presidente degli Usa. Elegante ed imperscrutabile, divenne immediatamente un'icona di stile in tutto il mondo: il suo gusto nella moda, negli arredi, nelle arti apparvero proverbiali e diventarono un modello da imitare. Poi, il 22 novembre 1963, durante un viaggio a Dallas tappa della campagna elettorale, John Fitzgerald Kennedy venne assassinato da uno - o più - sicari. Sotto choc ed affranta dal dolore, nel corso della settimana successiva la giovane vedova fu costretta ad affrontare momenti invero difficili: consolare i suoi due bimbi, lasciare la casa che aveva appena restaurato e pianificare le esequie di suo marito. Una cosa, tuttavia, ella ebbe subito chiarissima: quei giorni sarebbero stati decisivi per tratteggiare l'immagine e l'eredità storica del consorte ucciso, e di lei stessa nel futuro.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;">"Jacqueline Bouvier Kennedy Onassis fu una delle donne più riservate del mondo... La Jackie che pensiamo di conoscere è legata agli uomini che sposò. In abiti Oleg Cassini fu la moglie di JFK. O la sua vedova, colei che lanciò l'idea di Camelot come modo in cui lui e la Casa Bianca avrebbero dovuto essere ricordati". Così scrive William Kuhn, storico e biografo, in "Reading Jackie - Her Autobiography in Books", cercando di riassumere il mito e la figura d'una donna tra le più celebrate e discusse del Ventesimo secolo. La First Lady più narrata e fotografata di ogni epoca, tuttavia, non era mai stata rappresentata dal suo punto di vista. Sintetizzando la materia in un breve e ben definito periodo temporale, il cinesta cileno Pablo Larrain assieme al suo sceneggiatore Noah Oppenheim (premiato a Venezia per il suo lavoro), hanno chiamato Natalie Portman - capace d'una straordinaria performance - a cimentarsi, in maniera intensa e mimetica, col suo primo ruolo dentro un personaggio realmente esistito.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;">Per raccontarne la verità, Larrain ha dato vita ad un film storico-vestimentario, cercando l'identità reale dietro a quella fittizia, lungo i vestiboli e le camere della Casa Bianca, sotto la seta ed i tailleurs in <em style="-webkit-box-sizing: border-box;">crêpe</em>, di fronte ai manichini inarticolati vestiti da Chanel. Un po' come capitava in "Neruda", il carattere di fiction di "Jackie" è fissato fino dalle prime sequenze, dove ella ricostruisce per un giornalista di "Life" tutte le sensazioni che l'hanno attraversata in quei giorni difficili e dolorosi della sua esistenza. La forma della narrazione è sempre assai attenta, dalle lente carrellate su una Jackie nel centro dell'inquadratura al contesto dello svolgersi degli eventi (si veda il momento dei funerali, messo in scena quasi fosse un capitolo di quella che sarebbe stata, dipoi, denominata "politica-spettacolo"). Solo in piccola parte intimidito dalla propria prima trasferta negli States e dai possibili rischi di una produzione internazionale, </span><span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;">Larraín coniuga il potere dell'immaginazione di una donna con la propria propensione abituale per il paradosso, combina la ricostruzione storica con l'immagine di una rappresentazione privata delle stazioni d'un lutto. L'esito è forse meno incisivo e sorprendente di talune sue prove precedenti, da "Tony Manero" al già citato "Neruda", ma è comunque tale da superare di tanto gli standard hollywoodiani, nello stesso tempo adoprandone i canoni senza rinnegare gli stilemi del cinema d'autore.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;"> Francesco Troiano</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;">JACKIE. REGIA: PABLO LARRAIN. INTERPRETI: NATALIE PORTMAN, BILLY CRUDUP, JOHN HURT, PETER SARSGAARD, GRETA GERWIG. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 99 MINUTI. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-13996888272267326382017-02-08T17:06:00.004+01:002017-02-08T17:12:23.237+01:00150 milligrammi<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: 17px; line-height: 23px;">Nell'ospedale universitario di Brest dove lavora, la pneumologa Iréne Frachon individua un collegamento diretto fra i decessi di alcuni suoi pazienti e l'assunzione del Mediator, in commercio da oltre un trentennio. Dopo aver sottoposto il proprio studio all' unità di ricerca interna della struttura, e verificato la fondatezza della propria tesi, decide di domandare all'Agenzia Francese del Farmaco di ritirarlo dal mercato. Ha inizio, così, una guerra fra il piccolo team bretone, il Ministero della Salute ed il colosso farmaceutico che lo commercializza... </span><span class="Apple-style-span" style="color: #221f1f; font-family: "helvetica neue" , "roboto" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 14px; font-weight: 300; line-height: 21px;"></span></div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
Ispirato a una vicenda realmente accaduta tra il 2009 e 2010, "La fille de Brest" - il titolo italiano è assai meno significativo - è una pellicola di quelle che una volta si facevano anche da noi (si pensi a "Bisturi la mafia bianca", diretto nel 1973 da Luigi Zampa) e, con ben altri mezzi, negli Usa (il superlativo "Insider", firmato nel 1999 da Michael Mann). Ora il tema della denuncia sembra avere assai meno presa; tanto più questa operina d'oltralpe si pone come un oggetto filmico interessante, volutamente fuori moda e pieno di generosa passione civile.</div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
Tratto da un libro autobiografico delle medesima Frachon, il film di Emmanuelle Bercot - che, nella vita reale, voleva far giusto il medico - ricostruisce un caso che fece rumore nell'opinione pubblica francese. Il farmaco anoressizzante e antidiabetico, responsabile d'un enorme numero di decessi (tra i 500 ed i 2000, si stima) è, ovviamente, il pretesto per proporre nuovamente la sempre affascinante contrapposizione fra Davide e Golia: la lotta di chi combatte per il giusto, sia pur con mezzi limitatissimi, e l'arroganza smodata che contraddistingue i colossi del capitalismo. Più thriller che medical drama, "La fille de Brest" suscita indignazione nello spettatore ed empatia per le vittime: lo script, firmato dalla regista assieme a Séverine Bosschem, tiene la platea con il fiato sospeso e suscita delle salutari domande. Ma è il personaggio della Frachon - reso con bravura dall'attrice danese Sidse Babett Knudsen - ad essere il tramite perfetto per i fatti narrati: bizzarra, estrosa, esplosiva, la protagonista catalizza l'attenzione (sino al punto di soverchiare, a tratti, il lavoro d'investigazione paziente: un peccato veniale, comunque). In definitiva, un bell'esempio di cinema medio, che mai indulge al futile o al banale: merce ormai rara, di cui si avverte davvero la mancanza.</div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
Francesco Troiano</div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
150 MILLIGRAMMI. REGIA: EMMANUELLE BERCOT. INTERPRETI: SIDSE BABETT KNUDSEN, BENOIT MAGIMEL, CHARLOTTE LAEMEL. DISTRIBUZIONE: BIM. DURATA: 128 MINUTI.</div>
<div class="corpo" style="-webkit-box-sizing: border-box; font-size: 17px; letter-spacing: 0.5px; line-height: 23px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 10px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 10px; padding-top: 0px; text-align: justify;">
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-44151493642407204032017-01-29T17:21:00.001+01:002017-01-29T17:30:54.324+01:00Smetto quando voglio - Masterclass<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><blocco1 style="-webkit-box-sizing: border-box;">"Una commedia acida parodistica e </blocco1></span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">ultra citazionista, in cui il dramma sociale</span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"> viene ripreso esclusivamente come espediente comico... Ci siamo lasciati contaminare dal cinema americano contemporaneo, mettendo nel film tutto quanto ci piace; quello che Tarantino fa con i film italiani, abbiamo provato a farlo con prodotti americani". Così parlò Sidney Sibilia tre anni fa quando, al proprio debutto dietro la cinepresa, sciorinava una pellicola atipica per queste latitudini quale "Smetto quando voglio". La trama, si ricorderà, verteva su un ricercatore di chimica, Pietro, che, nel tentativo di sbarcare il lunario, metteva a punto una smart drug, basata su una molecola non perseguibile dalla legge. A commercializzarla, lo aiutavano sei amici, ciascuno a suo modo in difficoltà. La vita di tutti mutava ma sorgevano anche delle complicazioni: a iniziar dal fatto che la fidanzata del protagonista, Giulia, doveva venire tenuta all'oscuro di tutto, essendo ella assistente sociale impegnata nelle tossicodipendenze...</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Dato pure il gran successo di pubblico, un seguito era inevitabile. Così, ecco che la banda dei ricercatori-spacciatori è di nuovo in campo:</span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"> </span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">l'associazione a delinquere "con il più alto tasso di cultura di sempre", per ottenere la libera uscita ed una fedina penale pulita, deve aiutare le forze dell'ordine - tramite la poliziotta Paola Coletti - a fermar il dilagare delle smart drug. </span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Pietro, però, non può rivelare alcunché del suo nuovo incarico alla compagna Giulia, incinta del loro primo figlio, ed è costretto ad inventare con lei bugie sempre più colorite. Sidney Sibilia si conferma un alieno nel panorama del cinema indigeno d'oggi, </span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">già dall'idea di costruire sul suo fortunato esordio una trilogia che - guidata, certo, da un'esigenza squisitamente commerciale - intende tuttavia mantenere una interna coerenza artistica.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Reduci dalla triste e recente abbuffata di cinepanettoni (così li aveva chiamati Lietta Tornabuoni), è un piacere lo snodarsi di </span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">una storia originale, non volgare e non banale, che guarda con un occhio alla commedia nostrana (in testa, è ovvio, "I soliti ignoti")</span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">, con l'altro all'action comedy statunitense (la saga degli "Ocean's Eleven", chiaro)</span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">. Trait d'union fra i due modelli è la caratterizzazione marcata dei personaggi, un po' come nelle opere di Guy Ritchie o di Danny Boyle: di costoro, viene recuperato pure il tono scanzonato, con sottolineature farsesche e ritmo narrativo incalzante. Tra dialoghi e gag scoppiettanti (per far qualche esempio, quella delle mani alzate, il cartoon lisergico in rotoscoping e l'assalto al treno), la vicenda si snoda senza pause: e ci lascia, con un tanto di malizia, in sospeso, rinviando il districarsi dei nodi al pannello finale - uscirà fra un mese - del trittico.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"> Francesco Troiano</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">SMETTO QUANDO VOGLIO - MASTERCLASS. REGIA: SIDNEY SIBILIA. INTERPRETI: EDOARDO LEO, VALERIO APREA, PAOLO CALABRESI, LIBERO DE RIENZO, GIAMPAOLO MORELLI, VALERIA SOLARINO. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 113 MINUTI. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><cit style="-webkit-box-sizing: border-box;"><br /></cit></span></div>
<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; font-size: 17px; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></span>
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><blocco2 style="-webkit-box-sizing: border-box;"><br style="-webkit-box-sizing: border-box;" /> </blocco2></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-45154371772567655702017-01-23T17:36:00.002+01:002017-01-23T17:42:30.957+01:00Split<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Kevin, afflitto da dei disturbi psichici allarmanti, è seguito da una competente e agguerrita terapeuta che, tuttavia, non è riuscita a comprendere fino in fondo la pericolosità del soggetto in cura: ha individuato in lui ben 23 personalità che affiorano di volta in volta nella mente e nel corpo; ma non immagina che ve ne sia una ventiquattresima, quella tramite la quale le furie dell'Es s'estrinsecano prive di freni, con conseguenze non prevedibili. Casey, invece, è una fanciulla chiusa ed introversa, evitata perciò dalle sue compagne di scuola più popolari: insieme a due di loro, Claire e Marcia, viene rapita giusto da Kevin, che chiude tutte e tre in uno scantinato. In attesa di capire cosa sarà di loro, scopriranno i tanti individui che coabitano nella psiche del loro sequestratore: un bimbo di 9 anni, una donna ed altri ancora, assai più inquietanti...</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Curioso percorso, quello del cineasta di origine indiana - è nato a Madras, nel 1970 - M. Night Shyamalan: balzato alla ribalta nel 1999 con "Il sesto senso", thriller dall'impianto soprannaturale apprezzato dalla critica e dal pubblico in tutto il mondo, ha poi faticato a ottenere riconoscimenti ed esiti di box-office paragonabili a quelli del suo film-rivelazione. Costruiti un poco tutti alla stessa maniera (un intrigo all'apparenza inspiegabile che, nello scioglimento, prevede un colpo di scena), i lavori del nostro hanno per lo più sofferto "di esibizione autoreferenziale e compiaciuta, priva d'un altrettanto efficace meccanismo di narrazione filmica" (P.Marocco). Fa eccezione, ad avviso di chi scrive, l'ottimo "The Village" (2004), arricchito da una sorpresa conclusiva "che trasforma una fiaba gotica in una melanconica utopia sulle paure contemporanee" (P.Mereghetti).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Costretto dall'industria, dopo una certa quantità di insuccessi, a confrontarsi con dei budget assai limitati, Shyamalan è apparso di nuovo in forma grazie a "The Visit" (2015): dove l'espediente del found footage viene rovesciato in un falso documentario montato dai ragazzini protagonisti che - novelli Hansel e Gretel - vivranno una spaventevole esperienza a partire da un clima di serene apparenze (una visita, appunto, ai nonni materni mai conosciuti prima). Dato il buon risultato, in "Split" ora si cimenta con un tema - </span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">il disturbo dissociativo dell'identità, patologia dall'indiscusso potenziale cinematografico: si va dallo "Psyco" di Hitchcock a "Vestito per uccidere" di De Palma, sino al meno noto "Identità" di James Mangold - che, proprio per l'esistenza di cotali precedenti, era già sulla carta azzardoso. Come se la cava? Nella prima parte, ci sembra, molto bene: in particolare, i cinque minuti iniziali son da antologia, una lucente dimostrazione di come la paura scaturisca dall'assenza.</span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"> Ma l'epilogo obbliga a una repentina mutazione di registro e di percezione generale del film: vi è una virata verso il dato irrazionale tipica dell'autore, che, nella fattispecie, lascia perplessi. Come</span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"> lavoro sui generi cinematografici, tuttavia, "Split" incuriosisce e a tratti intriga: il limite maggiore sta nella ritrosia del regista ad accettare le logiche del B-movie, mettendosi a volte in cerca di una smarrita autorialità (i lunghi dialoghi tra paziente e psichiatra, ad esempio). La virtuosistica prova di James McAvoy è l'atout d'una pellicola che - malgrado gli squilibri evidenziati - non dispiacerà agli amanti del brivido.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"> Francesco Troiano</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">APLIT. REGIA: M.NIGHT SHYAMALAN. INTERPRETI: JAMES McAVOY, ANYA TAYLOR-JOY, HALEY LU RICHARDSON, JESSICA SULA. DISTRIBUZIONE: UNIVERSAL. DURATA: 115 MINUTI.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; font-size: 17px; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-43453491508191851042017-01-19T11:28:00.002+01:002017-01-19T14:56:34.832+01:00The Arrival<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Una dozzina di misteriose astronavi appaiono e si posizionano, nel medesimo momento, in diversi punti della Terra: in apparenza, sono dotate d'un potere immenso, in procinto di esplodere. </span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Louise Banks, linguista di fama mondiale (e reduce da un devastante dramma personale), vien reclutata dall'esercito degli Stati Uniti insieme al fisico teorico Ian Donnelly, come lei pronto a prendersi un grande azzardo. La missione loro affidata è quella di penetrare il monumentale monolite - per l'esattezza, quello atterrato nel Montana - e dipoi interrogare gli extraterrestri sulle loro intenzioni. Ma l'incarico si rivela ben presto complicato: c'è da individuare un alfabeto comune per costruire un dialogo con gli alieni, una forma di comunicazione scritta pel tramite di simboli circolari</span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">. Intanto, il tempo scorre ed il mondo, fuori, freme: ad un certo punto, la Cina rompe gli indugi ed è la prima potenza mondiale a dichiarar guerra all'ipotetico nemico...</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: 'helvetica neue', helvetica, arial, sans-serif; font-size: 17px; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: 'helvetica neue', helvetica, arial, sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Umanoidi, a volte verdognoli, con crani smisurati ed occhi sporgenti; mostri spaventevoli dotati di pericolose fauci; robot fuori misura. Così l'iconografia cinematografica ha, in genere, rappresentato le creature provenienti da altri universi: non sempre in forme minacciose, intendiamoci (basti per tutti "E.T."), ma di preferenza sì. "Arrival" comunque appartiene al filone della fantascienza seriosa ed impegnata, dove il racconto coincide con un percorso iniziatico che conduce i protagonisti ad un maggiore grado di consapevolezza: i primi titoli che vengono alla mente sono, ovviamente, "Incontri ravvicinati del terzo tipo" ed il più recente "Interstellar" (anche se, ad un certo punto, le reazioni ostili di talune nazioni fanno pensare alle atmosfere del vecchio "Ultimatum alla terra": il lupo perde il pelo, ma non il vizio).</span></div>
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<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: 'helvetica neue', helvetica, arial, sans-serif; font-size: 17px; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Tratto da un racconto breve, e lontano dalle logiche fracassone delle pellicole alla Emmerich, il film del canadese Denis Villeneuve - bravissimo ad attraversar i generi, da "Prisoners" a "Sicario" ad oggi, sempre con la stessa sicurezza ed originalità - prende strade collaterali, si muove fra i registri del metaforico e del metafisico, semina dubbi in luogo di mulinare certezze. Pur s</span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">enza rivoluzionare l'immaginario della science-fiction, l'autore de "La donna che canta" evoca un concetto e gli dona una forma. Gli eptapodi in visita sul nostro pianeta recano un dono, ma ci vorrà la sensibilità straordinaria di una donna piagata dal lutto e di uno scienziato dal fondo umanista, per trovare la chiave dell'enigma. Lo scioglimento si muove in territori pericolosi, tra sentimento e filosofia, quelli da un poco preferiti da Terrence Malick: però gli incidenti in cui quest'ultimo è, di recente, incappato qui vengono evitati con grazia, alla commozione viene dato diritto di cittadinanza ma senza obbligo di esazione della lacrima. Il merito del bel risultato finale va in buona parte a una magnetica Amy Adams, negli occhi della quale passa una gamma di sensazioni infinita: comunicate senza sforzo alcuno ai visitatori - e, in egual misura, agli spettatori.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"> Francesco Troiano</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: 'helvetica neue', helvetica, arial, sans-serif; font-size: 17px; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: 'helvetica neue', helvetica, arial, sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">THE ARRIVAL. REGIA: DENIS VILLENEUVE. INTERPRETI:AMY ADAMS, JEREMY RENNER. DISTRIBUZIONE: WARNER. DURATA: 120 MINUTI.</span></div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-78654407274262143112017-01-11T17:11:00.000+01:002017-01-11T17:11:13.596+01:00The Founder<div style="text-align: justify;">
1954. Marilyn Monroe ha appena sposato Joe DiMaggio; Elvis Presley registra "That's All Right" e "Blue Moon of Kentucky" per la Sun Records; il produttore Walt Disney ha pressoché completato la costruzione del suo parco divertimenti ad Anaheim, in California. Mentre gli Stati Uniti vivono il boom del dopoguerra, il 52enne Ray Kroc percorre in lungo ed in largo il paese, per piazzare dei frullatori a luoghi di ristorazione dal modesto successo. Scovato un chiosco di hamburger a San Bernardino, nella California del Sud, comprende di trovarsi di fronte ad un sistema innovativo di preparazione, cottura e vendita al minuto d'uno tra gli alimenti più richiesti. L'idea l'hanno avuta due fratelli, Richard e Maurice McDonald: Kroc, invece, si dà immediatamente da fare per mettere su un franchising. Le potenzialità si confermano enormi, laddove la coppia di inventori ha, invece, ambizioni assai meno grandiose...</div>
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John Lee Hancock, già autore di "Saving Mr.Banks", sull'incontro tra Walt Disney e P.L.Travers, era probabilmente il regista più adatto ad affrontare questo "The Founder"; racconto esemplare di come il capitalismo renda legali il furto delle idee, l'appropriazione indebita delle intuizioni, sino all'esproprio di una possibile enorme ricchezza. Di documentari e pellicole sulla fabbrica degli hamburger ne avevamo veduti già diversi, taluni anche di qualche risonanza, ma a nessuno era venuto in mente di narrare la genesi di un simile impero. A mezza strada fra "Il petroliere" di Paul Thomas Anderson e "The Social Network" di David Fincher, "The Finder" - scritto da Robert Siegel - era sin dal principio tra i titoli più attesi dell'annata: e si può, davvero, dire che le aspettative non risultano deluse.</div>
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Lontano dal biopic nel senso tradizionale del termine, il film dipinge il ritratto di un gigante ch'è pure un furfante, di un genio della comunicazione allo stesso tempo vampiro di meriti, di un imprenditore che fa della voracità il proprio marchio di fabbrica - ben più della M ad arco, che contraddistinguerà il simbolo McDonald in tutto il mondo. Incarnazione tagliente di quel self-made man che il mito americano ben si guarda dall'esplicitare nella sua realtà, il Ray Kroc impersonato da Michael Keaton - un'interpretazione mirabile, che dovrebbe fruttargli il primo Oscar da protagonista, se vi sarà giustizia - è un colosso dai piedi d'argilla, sostenuto da una forza di volontà inossidabile. Più utile di tanti saggi a spiegare come il sistema sostenga il primato della forza e dell'astuzia, riuscendo ad aggirare ed asservire finanche le leggi a codesto scopo, "The Founder" è tra gli esiti più spiazzanti e riusciti di una stagione che, fino ad ora, non ha fornito molti picchi.</div>
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Francesco Troiano</div>
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THE FOUNDER. REGIA: JOHN LEE HANCOCK. INTERPRETI: MICHAEL KEATON, LINDA CARDELLINI, PATRICK WILSON, LAURA DERN. DISTRIBUZIONE: VIDEA.</div>
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DURATA: 115 MINUTI.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-34818619779598297992016-12-26T17:35:00.003+01:002016-12-26T17:39:52.931+01:00Il GGG - Il Grande Gigante Gentile<br />
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
A Londra, Il Grande Gigante Gentile, unico vegetariano della sua specie, rapisce l'orfanella Sophia e la conduce nella propria caverna, nella terra dei giganti. Inizialmente spaventata dal misterioso essere, la piccola ben presto comprende che si tratta, in realtà, di una creatura buona ed amichevole, capace di insegnarle cose incredibili. Il GGG, infatti, la porta nel Paese dei Sogni, ove cattura i sogni da mandare di notte ai bambini: così trascorre tutto il proprio tempo, impedendo pure che gli altri giganti - più grandi di lui - divorino gli esseri umani. Quando, però, costoro sono pronti ad una strage, Sophia ed il GGG si recano a Buckingham Palace, per avvertire la regina d'Inghilterra dell'imminente pericolo... </div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
"Il GGG" di Roald Dahl esce nel 1982, lo stesso anno in cui "E.T." giunge nelle sale cinematografiche: una coincidenza, forse, oppure il segno che Steven Spielberg doveva, presto o tardi, incontrare nella sua filmografia lo scrittore anglo-norvegese, e adattare la di lui storia. In primo luogo, perché - assieme a "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato" (1964) ed a "Matilda" (1988) - è il romanzo più noto del suo autore ed uno fra i maggiormente amati della letteratura per l'infanzia di ogni epoca; poi, in ragione del fatto che nell'opera di Dahl compaiono diversi elementi che non potevano non suscitare l'interesse del cineasta dell'Ohio. Ad accomunare il lavoro dei due artisti è il tema della diversità, un filo rosso che in questa versione per il grande schermo è evidentissima; inoltre, vi è la maniera similare in cui ambedue mai celano la cognizione del dolore nell'infanzia, accompagnandola però sempre ad uno scioglimento lieto. </div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Ultimo film adattato per lo schermo da Melissa Mathison (collaboratrice storica del nostro, scomparsa nel 2015, e sceneggiatrice, tra l'altro, proprio di "E.T."), il film è costato ben 140 milioni di dollari, con esiti al botteghino niente affatto soddisfacenti (nel weekend d'apertura negli Usa, soltanto 19 milioni di dollari). Gli è, probabilmente, che non risulta per nulla facile trasferire lo spirito della pagina di Dahl in celluloide: in particolar modo pensando ad un pubblico americano, abituato ad associare ai piccoli il mondo quale luogo protetto ed infantilizzato. Si diceva, poc'anzi, del dolore; e l'argomento è trattato, per immagini, con delicatezza, laddove il GGG mostra a Sophia il suo peggior incubo dentro ad un vaso, contenente i rimorsi e la pena per un errore che non si può più correggere. Spielberg non pigia il pedale su detto versante, e - soprattutto nella seconda parte - cerca il divertimento finanche in maniera greve (le variazioni petofone del gigante, che nella concretezza della visione hanno una sguaiataggine non trasmessa, invece, dalla lettura). Ciononostante, l'equilibrio è raggiunto (con l'ausilio di notevoli effetti speciali): la piccola Sophia (l'esordiente inglese Ruby Barnhill), che legge il "Nicholas Nickleby" di Dickens e ha coraggio inversamente proporzionale alla sua età, è destinata a restare nella memoria; ed il gigante - Mark Rylance, vincitore dell'Oscar come miglior attore non protagonista per "Il ponte delle spie" - è figura non dimenticabile, nelle sue intenerenti stramberie. </div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Francesco Troiano</div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
IL GGG - IL GRANDE GIGANTE GENTILE. REGIA: STEVEN SPIELBERG. INTERPRETI: MARK RYLANCE, RUBY BARNHILL. DISTRIBUZIONE: MEDUSA. DURATA: 120 MINUTI.</div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-35985415869845833422016-12-20T11:20:00.000+01:002016-12-20T11:29:58.373+01:00Paterson<br />
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Paterson è un guidatore di autobus che vive con la moglie Laura e il cane Marvin, in una cittadina del New Jersey che porta il suo stesso nome. Ogni sera, dopo aver percorso le strade del posto per il suo lavoro, torna a casa, porta a spasso il cane e beve una birra nel pub del quartiere. La consorte ha una passione per il decoro ed insegue l'ambizione di diventare una cantante. Paterson, di contro, trascorre la pausa pranzo scrivendo poesie su di un taccuino segreto, che mai abbandona. Nei suoi versi v'è traccia evidente della passione per William Carlos Williams, poeta nativo del luogo, suggestioni provenienti da Allen Ginsberg e Frank O'Hara, assieme ad esperienze ricavate dall'orizzonte quotidiano. Ed è il proprio dono - la capacità della scrittura - a sottrarlo ad una routine di luoghi ed azioni sempre uguali e, potenzialmente, alienanti.</div>
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
"Ho visitato Paterson per la prima volta venticinque anni fa: un piccolo posto dimenticato e, tuttavia, interessante, prima città industriale statunitense, oramai impoverita dalla corruzione dei governanti e dal degrado. Da allora ci sono tornato spesso e vent'anni fa avevo già scritto un piccolo trattamento su un guidatore di bus. Ma probabilmente i cittadini di Paterson neanche vedranno il film". Così parlò Jim Jarmusch, da tre decenni e oltre tra i cineasti più peculiari ed inventivi del cinema indie americano, abile a connotare i propri lavori in modo unico, pur per il tramite di un linguaggio in ininterrotta evoluzione. Nella fattispecie, qui l'idea è quella di un'opera che parli di poesia e, al tempo medesimo, di essa faccia la propria sostanza: impresa difficile, nella quale ben pochi prima di lui si sono cimentati.</div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Presentato con successo all'ultima edizione del film di Cannes, "Paterson" è una sorta di itinerario nei meccanismi medesimi della scrittura poetica, ed un'indagine nei rapporti che esistono fra la parola e l'immagine. L'iniziale richiamo ai fiammiferi ci porta subito in tema, complice il richiamo al Prévert della più nota lirica: la voce over che ripete i versi - un espediente che poteva risultare stucchevole - si fa via via indispensabile elemento per mettere in rilievo la figura dell'anafora (presente, pure, nel ripetersi di situazioni e comportamenti), che presiede alla narrazione. Come Dante, non casualmente evocato, il protagonista descrive quanto lo circonda, ascolta conversazioni riguardanti degli argomenti atipici (su Gaetano Bresci, ad esempio: "un omaggio dovuto - spiega Jarmusch - dato che a Paterson, alla fine dell'800, ci fu un importante sciopero che bloccò la produzione tessile e fu proprio l'italiano a ispirare quella rivolta"), annota e trasfigura con puntualità e metodo. La poesia di una ragazzina incontrata per combinazione è bella quasi come quelle del Nostro (a proposito, i versi scritti in realtà son quelli di Ron Padgett): perché ad essere importante è lo sguardo, capace di dare un significato speciale alle cose più semplici.</div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Francesco Troiano</div>
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
PATERSON. REGIA: JIM JARMUSCH. INTERPRETI: ADAM DRIVER, GOLSHIFTEH FARAHANI. DISTRIBUZIONE: CINEMA. DURATA: 117 MINUTI. </div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-37431162775651356702016-12-15T11:25:00.002+01:002016-12-15T11:25:30.253+01:00Aquarius<br />
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Clara è una giornalista e critico musicale in pensione, che sta da sola dopo la morte del marito; è, pure, l'unica rimasta a vivere nel complesso sul mare “Aquarius”, costruito negli anni '40 per l'alta borghesia di Recife. La società immobiliare nuova proprietaria - che adesso possiede l'intero stabile - è riuscita a convincere gli altri abitanti del condominio a cedere alle proprie offerte, con l'eccezione dell'interno di Clara. Tra lei e Diego, fascinoso nipote dell'imprenditore, gentile ed educato ma spietato, comincia una guerra di logoramento, che sospinge la donna a ripercorrere il proprio passato, contemporaneamente dando uno sguardo al futuro che l'attende. </div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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Presentato con successo all'ultima edizione del festival di Cannes, "Aquarius" inizia coi festeggiamenti per il compleanno dell'anziana zia della protagonista, femmina libera e spregiudicata in epoca in cui non era facile esserlo. Al tempo medesimo, si celebra la rinascita della giovane Clara, fresca reduce da un'operazione al seno che le ha evitato la morte. Stacco, e dagli '80 in pieno regime militare passiamo all'oggi. Clara trascorre le ore prediligendo andamento lento ed abitudini antiche: la nuotata quotidiana, un flirt platonico con il bagnino, l'ascolto dei suoi amati vinili - predilezione per la samba ed i Queen - e le visite dei nipoti che i suoi tre figli le hanno dato.</div>
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
"Non accettando di vendere la casa dove vive ed è stata felice con il suo uomo, Clara combatte non inconsapevolmente contro quell'idea di 'crescita' che ha portato il mondo all'attuale rovina o quasi", ha dichiarato il regista brasiliano Kleber Mendonça Filho (appena proclamato vincitore del premio Fénix per il cinema iberoamericano). Si sottolinea apertamente, dunque, il carattere "politico" della pellicola: la resilienza sembra essere l'unico rimedio per contrastare l'avidità di un capitalismo da rapina, che non si premura più che tanto di celare i propri metodi scorretti, se non criminali, quando vuole ottenere uno scopo. Resistere non serve a niente, recitava il titolo di un bel romanzo di Walter Siti; non la pensa così Clara, che non si lascia tentare da lusinghe, intimorire da velate minacce, spaventare da imprevisti eventi. Come l'orgia che una notte si svolge nell'appartamento sopra il suo: la visione di quei corpi nudi allacciati, invece di sgomentarla, la eccita: fino al punto da farle invitare in casa un gigolò, consigliatole dalle amiche parecchio disinvolte. </div>
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
E quando la proprietà sferra l'assalto finale (con metodi selvaggi, che qui non vi riveleremo), la risposta di Clara è all'altezza della sfida: con l'aiuto di una sua amica avvocato e di uno tra i figli, scoperchia il verminaio che cresceva a sua insaputa nel palazzo e smaschera i mandanti in un finale rude e secco, metafora feroce della rottamazione. Nelle sue due ore e venti di durata, che scorrono con la meraviglia che dà la lettura di un grande romanzo, "Aquarius" riluce della matura grazia di Sonia Braga: esplosa in tutta la sua carica di sensualità quarant'anni fa con "Donna Flor e i suoi due mariti" di Bruno Barreto (il più bell'adattamento mai realizzato della pagina di Jorge Amado), questa attrice fiera e bellissima ha attraversato la vicenda del cinema sudamericano con una classe, un talento, un carisma inimitabili. Si può ben dire che questo film sia la celebrazione di una carriera che non ha uguali, e di una invincibile guerriera dell'esistere.</div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Francesco Troiano</div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
AQUARIUS. REGIA: KLEBER MENDONCA FILHO. INTERPRETI: SONIA BRAGA, MAEVE JINKINGS, IRANDHIR SANTOS, HUMBERTO CARRAO. DISTRIBUZIONE: TEODORA. DURATA: 140 MINUTI. </div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-56175613281943165132016-12-06T11:24:00.003+01:002016-12-06T11:35:29.267+01:00E' solo la fine del mondo<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Dopo un'assenza durata dodici anni Louis, giovane e affermato drammaturgo, torna nella casa natale per informare i propri familiari d'essere afflitto da un male incurabile. S'imbarca sul primo aereo, rientra in seno alla comunità dalla quale era fuggito, che lo attende tra premurosità e isteria. C'è Suzanne, la sorella minore, che egli non ha mai veduto crescere; Antoine, il fratello più grande, collerico per il non previsto evento e aggressivo perché si sente in qualche modo minacciato da questo ritorno; la madre di tutt'e tre, ingombrante e premurosa, del tutto inadeguata ad affrontare un figlio che, peraltro, mai era riuscita a capire. Infine Catherine, la cognata ignota, che s'esprime con timidezza, ma è l'unica a comprendere, alla fine, le ragioni dell'imprevista visita. Insieme a loro, Louis va in cerca di brandelli di verità, ma - proprio come avveniva in passato - le voci si sovrappongono, il bisogno di urlare prende il sopravvento; nevrosi e rancori, rabbie e paure si ripresentano puntuali, confinando la speranza a mero rumore di fondo.</div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Tratto da un testo teatrale scritto nel 1990 dal francese Jean-Luc Lagarce (morto nel 1995, a causa di complicanze subentrate al virus Hiv), "E' solo la fine del mondo" - premio della giuria a Cannes, giusto il festival che ha accolto il nostro da quando aveva vent'anni - è un kammerspiel teso, potente, violento di quella violenza che solamente l'abuso di parole e di emozioni riesce a creare. Da "J'ai tué ma mère" a "Mommy", è la sensazione della vergogna, la vergogna di sé a tener separati i membri delle famiglie di Dolan, perduti in querelle interminabili. Con "E' solo la fine del mondo", la separazione è condotta al calor bianco e profusa dentro un'emorragia verbale devastata e devastante. Congedo privo di appelli, nel quale la crudeltà ha la meglio su ogni possibile tenerezza e la vis drammaturgica ripropone quella della pièce teatrale, il film inscena un'impossibile riconciliazione e salda, presumibilmente, i conti con l'argomento, evocandolo un'ultima volta in interni e calandolo nel caos più assoluto.</div>
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<br /></div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Contestato da alcuni critici per l'aria di palcoscenico che vi circola e per la chiusura, fino al tanfo, in una messa in scena claustrofobica, "E' solo la fine del mondo" appare, forse, meno originale ed azzardoso degli altri titoli del nostro, ma per certo è il più sentito e vigoroso. Il 27enne regista canadese continua la sua personale immersione nelle sgradevoli dinamiche di gruppi familiari disfunzionali, probabile frutto di ossessioni coltivate con nevrotico impegno. I termini per spiegarsi non s'individuano, ciascuno grida la propria rabbiosa insoddisfazione, solo chi ascolta (la cognata) riesce ad udire, dire qualcosa (il protagonista) si rivela anelito a un traguardo irraggiungibile, condanna ad una solità fattasi gravame insopportabile. Privilegiando primissimi piani, adoprando il campo-controcampo alternato a repentini scambi corali, Dolan compone una raffinata partitura per sussurri e grida (espressione, non a caso, forgiata da un critico musicale, riferendosi ad un quartetto di Mozart), che trova negli eccezionali interpreti degli esecutori ideali. La metafora finale dell'uccello a cucù che s'incarna per poi piombare al suolo è uno svolazzo magari pleonastico, ma che si perdona volentieri ad un autore fra i più necessari e peculiari del cinema contemporaneo.</div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
Francesco Troiano</div>
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<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
E' SOLO LA FIE DEL MONDO.REGIA: XAVIER DOLAN. INTERPRETI: GASPARD ULLIEL, NATHALIE BAYE, LEA SEYDOUX, VINCENT CASSEL, MARION COTILLARD. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 95 MINUTI. </div>
<div style="font: normal normal normal 14px/normal Helvetica; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px; text-align: justify;">
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-36230405020611150102016-11-28T11:34:00.001+01:002016-11-28T11:39:51.774+01:00Amore e inganni<div style="text-align: justify;">
Un'affascinante e giovane vedova, Lady Susan Vernon, si reca per una vacanza a Churcill, proprietà del fratello del consorte, per scoprire i più recenti pettegolezzi circolanti nella buona società: ve ne sono diversi che la riguardano. L'altro, più importante scopo è quello di assicurare a lei e alla giovane figlia Federica, ormai in età di sposarsi, dei mariti capaci d'offrire ad entrambe un'esistenza agiata: ad aiutarla nell'impresa è Alicia Johnson, migliore amica e confidente. L'arrivo al castello del fascinoso Reginald De Courcy e di Sir James Martin, un sempliciotto foderato di quattrini, paiono favorire le mire della donna: ma, ben presto, le cose si complicano. I suoi modi seduttivi finiscono per attrarre entrambi gli uomini; in particolare, le attenzioni riservate al primo privano la sorella di Mr.Manwaring, un'amabile fanciulla, dell'innamorato. Per gli stessi motivi, la moglie di Mr.Manwaring diviene gelosa ed infelice. Quando gli eventi sembra stiano precipitando, un cambio di strategia rovescerà un oroscopo fattosi infausto: tutto si sistemerà, secondo le mire della calcolatrice, quanto irresistibile, protagonista.</div>
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"Lady Susan" è stato scritto verso la conclusione del '700, quando Jane Austen aveva vent'anni ed era alle prese con la prima stesura di "Ragione e sentimento". Tuttavia, fino al 1811 nessuno fra i suoi racconti venne pubblicato e, a quel momento, è ragionevole supporre che la scrittrice fosse insoddisfatta del testo. Probabilmente, la prima cosa che non la convinceva più era la forma epistolare: assai popolare nel XVIII secolo (ella stessa l'aveva adoperata per la citata, prima stesura di "Ragione e sentimento", che portava il titolo di "Elinor e Marianne"), era poco adatta al talento della nostra, che vi rinunciò volentieri per passare alla terza persona, metodo dipoi utilizzato sempre. "Lady Susan" - titolo scelto dalla nipote della Austen, per un lavoro che ancora ne era privo - apparirà mezzo secolo dopo la morte dell'autrice, quando la famiglia concede finalmente il diritto di pubblicazione.</div>
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E', "Amore e inganni", il quinto lungometraggio firmato da Whit Stillman, cineasta fra i meno prolifici che la storia del cinema recente annoveri. Risale infatti al 1990 il suo esordio con "Metropolitan" - un garbato balletto sentimentale tra giovani appartenenti alla upper class newyorkese, dipinti senza cinismo o accondiscendenza - che, dopo un passaggio al Sundance Film Festival, fece incetta di premi e sembrò aprire la strada ad un nuovo, promettente talento. I successivi "Barcelona" (1994) e "The Last Days of Disco" (1998), tuttavia, non mantengono in pieno le aspettative, stazionando fra manierismo e ritualità. Un poco meglio le cose andranno con "Damsels in Distress" (2011), grazie principalmente ad un cast valido e capitanato da Greta Gerwig, impagabile come d'uso. "Amore e inganni" sciorina direttamente i numi tutelari dell'intera filmografia stillmaniana: Jane Austen che, per tematiche e sensibilità, può dirsi da sempre presente nelle pellicole di lui; e Woody Allen, del quale condivide la propensione per la dimensione affabulatoria e la predilezione per personaggi calati in complesse vicende romantiche. La forma scelta, questa volta, è quella della commedia classica: il ritmo vi appare sostenuto, il rimpallo delle battute impeccabile, la complicità coi personaggi convincente. Kate Beckinsale fornisce una prova maiuscola, dando alla narrazione qualcosa che rende il risultato specialmente gradevole.</div>
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Francesco Troiano</div>
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AMORE E INGANNI. REGIA. WHIT STILLMAN. INTERPRETI: KATE BECKINSALE, CLOE SEVIGNY. DISTRIBUZIONE: ACADEMY TWO. DURATA: 92 MINUTI. </div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-47646655466983760092016-11-21T17:22:00.000+01:002016-11-21T17:29:48.295+01:00Il cliente<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: "times new roman"; font-size: 18px;">Emad e Rana sono due coniugi obbligati a lasciare il proprio appartamento, in seguito ad un grave danno nel condominio in cui vivono. Si trovano, così, a dover trasferirsi in una nuova casa: nella bisogna, sono aiutati da un collega della compagnia teatrale dove i due recitano da protagonisti, nella “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. La nuova abitazione, però, ospitava in precedenza una prostituta, situazione che a loro non è stata fatta presente: così che un giorno, a Rana, capita d'aprire la porta - certa che si tratti del marito - a uno dei clienti della donna, il quale la aggredisce. Dopo il trauma, mentre ella è afflitta da paure, Emad si mette in cerca dell’uomo meditando una vendetta privata, nella quale non vuole coinvolgere la consorte e, ovviamente, la polizia...</span></div>
<div style="font: 18.0px Times New Roman; margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="font: 18.0px Times New Roman; margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px;">
<div style="text-align: justify;">
Dopo la parentesi francese de "Il passato" (2013), Asghar Farhadi ritorna a proporci una vicenda iraniana, ambientata a Teheran. La trovata di far procedere azione teatrale e storia dei personaggi, creando una sorta di specularità gravida di significati, è probabilmente la meno azzeccata del film: nelle parti "di palcoscenico" (nell'incipit, dipoi nel sottofinale), si esprime un'idea dell'individuo solo sulla quinta del mondo che risulta già evidente - e assai più pregante - in quanto egli racconta con le immagini. Avendo inoltre presente che il testo di Arthur Miller mette in scena un tempo di mutazione nella dimensione sociale degli Usa, pel tramite delle vicende familiari del suo protagonista, non è difficile intuire che il nostro allude all'attuale fase storica dell’Iran, alle prese con un cambiamento tanto repentino dal finir col disorientare chi non sia pronto ad adattarvisi.</div>
</div>
<div style="font: 18.0px Times New Roman; margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="font: 18.0px Times New Roman; margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px;">
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Se la sospensione fra cinema e teatro pare forzosa, nel narrare la disavventura che tocca in sorte ai protagonisti Farhadi ritrova la propria maestria registica e la sua sensibilità di artista. Qui, alla lettura sociologica si sostituisce la capacità di star sui fatti attraverso una camera che segue i personaggi senza braccarli, li fa vivere senz'ombra di artificio, scava nelle loro reazioni con un'intensità dostoevskiana. Come d'abitudine, il cineasta iraniano tiene fuori campo quello che è comunque comprensibile: la violenza può essere espressa da una stanza vuota, dai suoni di dolore, dalle grida smorzate, o dai tonfi innaturali che si odono. In ciò lontano dalle modalità occidentali, Farhadi lavora, invece, per sottrazione: il suo interesse va tutto alle reazioni di Emad e Rana, la rabbia di lui che si fa via via più scomposta, lo stress di lei che pur non rimuovendo sa che nulla può più essere cambiato. Sino ad un intenso finale, nel quale il carico delle responsabilità si dimostra meno facile del previsto da suddividere e la pietà fa capolino, pur senza che una seconda tragedia sia evitata. Magari con una minore intensità che nel capolavoro "Una separazione" (2011), la poetica dello spaesamento di Farhadi viene tuttavia enunciata con nitore e potenza, grazie pure ad una coppia di interpreti straordinari (Shahab Hosseini è stato premiato a Cannes, ma uguale riconoscimento avrebbe meritato Taraneh Alidoosti). </div>
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Francesco Troiano</div>
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IL CLIENTE. REGIA: ASGHAR FARHADI. INTERPRETI: SHAHAB HOSSEINI, TARANEH ALIDOOSTI, BABAK KARIMI. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 125 MINUTI.</div>
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<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-90332537017334499632016-11-16T11:48:00.000+01:002016-11-16T11:57:15.029+01:00Animali notturni<div style="text-align: justify;">
Susan Morrow, proprietaria di una prestigiosa galleria d'arte di Los Angeles, conduce una vita agiata ma algida col ricco secondo marito Hutton Mortow, che la tradisce sulla East Coast. Il primo, Edward Sheffield, l'ha lasciato in modo assai crudele 19 anni prima: lo riteneva un debole ed un velleitario, con le sue ambizioni da scrittore. Ora, dopo lungo silenzio, lui si fa vivo inviandole il manoscritto del primo romanzo, "Nocturnal Animals", dedicato giusto a lei. Insieme al libro, vi è un biglietto che la esorta a leggerlo, e a chiamarlo durante il suo soggiorno in città. Incuriosita (e, pure, per riempire il vuoto di un lungo week-end da sola), Helen si cala nella storia di Tony Hastings, bonario pater familias in viaggio per una vacanza nel Texas, assieme alla moglie Laura e alla figlia India. Si parte a tarda ora, in omaggio ai desiderata di quest'ultima (che, per le sue preferenze, viene definita "un animale notturno"). In quelle strade, però, si muovono pure balordi pronti a sconfinare nella provocazione e nella violenza: l'incontro con Ray Marcus e la sua combriccola è destinato a mutare la vita del piccolo nucleo familiare. E anche quella di Susan...</div>
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Secondo film da regista dello stilista Tom Ford (dopo "A Single Man", interessante adattamento del bel romanzo omonimo di Christopher Isherwood), "Animali notturni" ha una scena incipitaria che davvero non ci si attenderebbe da un noto esteta: la danza, sfrenata e al ralenti, d'un gruppo di donne obese e per intiero nude (stivali e cappellino da majorettes a parte), in un turbinio di carne molliccia e di sguardi più che ammiccanti. Si tratta, in realtà, di una tra le videoinstallazioni della galleria di Amy: ma è, al tempo stesso, un'indicazione, un presagio sui temi del film, dalla ingannevolezza dello sguardo allo sgomento della scoperta. Adattamento di un noir postmoderno di Austin Wright ("Tony&Susan", da noi uscito per Adelphi), la pellicola si muove fra due piani temporali e fra realtà e visualizzazione delle pagine di Edward: sicché la prospettiva metacinematografica si fa metalinguistica, in una vertigine che avvolge lo spettatore già dal citato, ipnotico inizio.</div>
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"Animali notturni" è la notomizzazione feroce d'un matrimonio fondato sulle apparenze, una riflessione aguzza e penetrante sul rapporto fra arte e vita, un'indagine sulla ferita sempre purulenta del rimosso. In questa difficile operazione, Ford si muove con l'eleganza di un couturier e la lucidità d'un intellettuale: il passaggio fra tempi, luoghi, azioni differenti è ottenuto con straordinaria fluidità, pel tramite d'immagini indelebili - l'apparizione repentina di un'inquietante figura dallo schermo di un phablet, il ritrovamento di due cadaveri femminili nudi sopra un divano rosso in mezzo al nulla - e d'una sceneggiatura - firmata da Ford medesimo - lavorata finemente di bulino. Con un senso della struttura e della suspense che sarebbe piaciuto a Hitchcock, attraverso la sapiente costruzione di atmosfere lynchiane, il film mette in scena l'unheimlich freudiano con chirurgica precisione e un'esattezza che si ferma sull'orlo della pietas. "Non ci sono secondi tempi nelle vite americane", ammoniva Scott Fitzgerald: ne pare consapevole, la protagonista (una superba Amy Adams, alla quale Jake Gyllenhaal dà la replica con autorevolezza), quando nel finale si trova, da sola, ad aspettare un incontro che smentisca l'oroscopo. In un ristorante di lusso, fra camerieri compitissimi ed atmosfera elegante: la fotografia della vita che ha scelto. E che non si lascia abbandonare.</div>
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Francesco Troiano</div>
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ANIMALI NOTTURNI. REGIA: TOM FORD. INTERPRETI: JAKE GYLLENHAAL, AMY ADAMS. DISTRIBUZIONE: UNIVERSAL. DURATA: 117 MINUTI.</div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-78093288572502737062016-11-09T17:06:00.001+01:002016-11-09T17:13:19.595+01:00Fai bei sogni<div style="text-align: justify;">
Dopo un'infanzia solitaria e un'adolescenza difficile, Massimo è divenuto un giornalista di successo ma, ancora, incapace di elaborare, di convivere con un ricordo lacerante: la perdita della madre in tenera età. Dolce, giovane e bella, sovente però afflitta da repentina malinconia, da improvvise assenze, ella usciva di scena in modo inatteso, la mattina del 31 dicembre 1969. Un attacco cardiaco fulminante, la versione ufficiale per il bambino di 9 anni: figlio unico di colpo piombato in uno stato d'orfanità dolorosa, poco o nulla aiutato da un padre annichilito emotivamente e imprigionato nel proprio ruolo. Ciò porta Massimo ad idealizzare la genitrice, di lei facendo la figura più importante della propria vita, sino al punto da non riuscire a stabilire delle relazioni sentimentali solide una volta adulto. Il disagio interiore, per anni tenuto sotto controllo, si manifesta durante una trasferta professionale nella forma d'un attacco di panico: inizia così un viaggio a ritroso, ove egli si trova a confrontarsi coi fantasmi del passato e d'una verità che forse ha voluto celare a se medesimo...</div>
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Molto spesso, Bellocchio ha tratto ispirazione, per le proprie pellicole, da fonti letterarie: Cechov per "Il gabbiano", Pirandello per "Enrico IV" e "La balia", Kleist per "Il principe di Homburg", i primi titoli a venire alla mente. Stavolta, la scaturigine è l'esordio nel romanzo di Massimo Gramellini (giornalista de "La Stampa"): best-seller da subito, "Fai bei sogni" è narrazione dichiaratamente autobiografica, scritta in un linguaggio piano e accessibile, con una struttura da thriller dell'anima (una parola, quest'ultima, di grande importanza per l'autore; priva, invece, di cittadinanza nel laico universo del cineasta piacentino). Poco di male, direte voi: il regista probabilmente più grande della storia del cinema, Stanley Kubrick, si è sempre confrontato con narratori di statura intellettuale inferiore alla sua (tranne che in un caso, quello del Nabokov di "Lolita"), con risultati ogni volta superlativi.</div>
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Il problema è che il punto di partenza può essere ignorato sino ad una certa soglia: laddove la materia è quella che è, persino le migliori intenzioni rischiano di essere punite. E' così che "Fai bei sogni" finisce per contenere due film in uno: il primo, quello che precede l'approdo all'età adulta del protagonista, è di chiara matrice bellocchiana, con la famiglia, il disagio psichico, l'approccio alla Chiesa, i salti nel vuoto, la morte; il secondo, che si muove tra gli amori e le vicende professionali di Massimo, è prevedibile e, a tratti, goffo (si veda la scena del ballo, o quella della trasferta a Sarajevo). Qui - malgrado l'appassionata mediazione di un sempre più bravo Valerio Mastandrea - la trama perde colpi, si fa confusa e scentrata. Resta positivo, comunque, il bilancio finale: anche per merito di straordinarie caratterizzazioni (superbo Roberto Herlitzka nei panni di un ambiguo religioso, e folgorante l'apparizione di Piera Degli Esposti) e di una maestria nell'uso della macchina da presa che ha pochi uguali. Da "I pugni in tasca", sino a oggi.</div>
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Francesco Troiano</div>
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FAI BEI SOGNI. REGIA: MARCO BELLOCCHIO. INTERPRETI: VALERIO MASTANDREA, BERENICE BEJO. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 113 MINUTI. </div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-69020759663895007212016-11-01T17:13:00.001+01:002016-11-01T17:21:22.949+01:00La ragazza del treno<div style="text-align: justify;">
Depressa e alcolizzata, Rachel Watson non ha superato il divorzio dal marito Tom, che s'è risposato con Anna: per far trascorrere le giornate, dopo aver perduto il lavoro, prende sempre il medesimo treno da e per Manhattan, guardando fuori dal finestrino. Lo fa per rivedere la casa che, un tempo, divideva con il consorte e dove egli continua a vivere con la nuova compagna: ma si è, pure, identificata con quella che lei ritiene una sorta di coppia perfetta, composta da Scott e da Megan Hipwell, dei quali nascostamente sbircia l'esistenza. Quando Megan scompare misteriosamente, Rachel comincia una indagine personale, fingendo di essere un'amica. Ma l'alcolismo le provoca dei lunghi black out, per cui nessuno le crede; al punto che la polizia, già messa in allerta dal fatto che ella perseguita l'ex-coniuge, inizia a sospettarla. E, d'altra parte, neppure lei è tanto sicura di essere innocente...</div>
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15 milioni di copie vendute, 600mila solo in Italia. Sono i numeri de "La ragazza del treno", bestseller dell'anno firmato dall'ex-giornalista inglese Paula Hawkins, nativa dello Zimbabwe, residente a Londra: a differenza di quanto fatto da Gillian Flynn, autrice de "L'amore bugiardo" e pure della sceneggiatura del film che David Fincher ne ha tratto, la nostra ha preferito passare la mano. Dietro la macchina da presa dell'inevitabile trasposizione cinematografica troviamo stavolta Tate Taylor, reduce dal successo al botteghino di "The Help" (200 milioni di dollari): "La ragazza del treno", ha dichiarato, "sotto la superficie del thriller, è quello che in letteratura chiamiamo uno studio del carattere, perché la personalità dei personaggi è importante almeno quanto la trama. Tratta di sentimenti primari quali dolore, perdita, amore, dipendenza, manipolazione".</div>
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Spostata l'azione dalla periferia di Londra a New York, la sceneggiatura di Erin Cressida Wilson mette in scena una sorta di dramma femminista, con tre personaggi muliebri così forti da relegare gli uomini in posizioni secondarie. Il punto di riferimento che viene subito alla mente è, ovviamente, "La finestra sul cortile" di Hitchcock: tuttavia, Tate Taylor sostiene di aver avuto presente solo "Omicidio a luci rosse" di Brian De Palma, dato che il personaggio di Melanie Griffith - ragazza di provincia che lavorava da pornostar - aveva una sensibilità affine a quella di Megan, entrambe in cerca di rassicurazione tramite il sesso. Ambientato, come di rado le pellicole di suspense, di giorno, e con le scene che hanno al centro Rachel girate a mano, per sottolineare la periclitante attendibilità dei ricordi di colei che è voce narrante, "La ragazza del treno" è un prodotto che non manca d'efficacia: lo spettatore vi troverà, probabilmente, soddisfatte le proprie aspettative, nonostante la finezza e l'eleganza della pagina scritta vadano in buona misura "lost in translation". Tra gli atout, un cast di attori credibile ed efficace: lo capitana Emily Blunt, che - segnata da una truccatura au contraire, volta a sottolineare occhiaie e capillari, con tanto di protesi a gonfiare le guance - fornisce una prestazione eccellente; forse la migliore della sua carriera, a sottolinearne le qualità d'attrice di razza.</div>
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Francesco Troiano</div>
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LA RAGAZZA DEL TRENO. REGIA: TATE TAYLOR. INTERPRETI: EMILY BLUNT, LUKE EVANS, HALEY BENNETT, REBECCA FERGUSON, JUSTIN THEROUX. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 111 MINUTI. </div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-1173117195074052792016-10-25T11:01:00.002+02:002016-10-25T11:14:33.470+02:00La ragazza senza nome<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Jenny Davin è una giovane dottoressa assai considerata, tanto che un primario ospedale le ha proposto un importante incarico. Nel frattempo, gestisce il suo ambulatorio di medico condotto in cui ha accolto Julien, studente in medicina stagista. Una sera, un'ora dopo la chiusura, qualcuno suona al campanello e lei sceglie di non aprire. Il giorno seguente, scoprirà che una donna africana è stata trovata, cadavere, nelle vicinanze: è per questo che la polizia chiede di visionare la registrazione del video di sorveglianza dello studio. Si tratta proprio di colei alla quale Jenny non ha voluto rispondere. Sul corpo non v'è traccia di documenti: a questo punto, il senso di colpa conduce Jenny ad una ricerca ossessiva dell'identità della vittima...</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">I fratelli Dardenne concepiscono questo loro decimo lavoro - in concorso alla più recente edizione del festival di Cannes - come una specie di detection, tanto che in un primo momento s'eran risolti ad eleggere a protagonista un poliziotto. Poi la scelta s'è spostata sulla dottoressa, lungo una duplice pista: perché se è vero che ella s'ingegna a scoprire chi sia la ragazza ignota, quasi si sentisse in dovere di ripagarla pel suo disinteresse fornendole una riconoscibilità, allo stesso modo lei per lo spettatore è una sconosciuta, dato che nulla vien detto dei suoi trascorsi professionali o privati. </span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">Ovviamente, il personaggio di Jenny risulta, a ben guardare, apparentato ad altri dell'universo dei Dardenne, ad iniziare da quelli de "La promesse" (1996), dove pure era questione di risarcire una morte. Gli intenti dei due registi belgi restano sempre gli stessi: raccontare come la realtà sia imprevedibile, e come sempre differente sia il proprio effetto sugli esseri umani. Qui più che altrove, inoltre, la macchina da presa scruta il reale facendo scaturire il dramma e la successiva presa di coscienza attraverso i corpi, gli oggetti e le azioni delle "dramatis personae", con un rigore rosselliniano. Come in "Still Life" (2012) di Uberto Pasolini, ci troviamo davanti a una ricerca d'identità per un corpo che non trova alcuno pronto a fornirgliene una e che - per dirla con la dottoressa - "non è morto se continua ad agire nel nostro pensiero". Diversamente che in passato, i nostri affidano per la seconda volta la parte principale ad un'attrice nota in Francia: se in "Due giorni, due notti" la prescelta era Marion Cotillard, qui si ricorre ad Adèle Haenel (già vincitrice di due César). In entrambi i casi, l'intuizione s'è rivelata felice: nella fattispecie, l'interprete di "The Fighters" (2015) rende toccante l'anelito alla redenzione che guida le azioni di Jenny, facendo trepidare gli spettatori.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; font-size: 17px; font-weight: 300; letter-spacing: 1px; line-height: 23px;">LA RAGAZZA SENZA NOME. REGIA: JEN-PIERRE E LUC DARDENNE. INTERPRETI: ADELE HAENEL, OLIVIER BONNAUD, JEREMIE RENIER. DISTRIBUZIONE: BIM. DURATA: 106 MINUTI.</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-2192501868151402982016-10-17T17:29:00.002+02:002016-10-17T17:29:17.907+02:00Io, Daniel Blake<div style="text-align: justify;">
Newcastle. Il cinquantanovenne Daniel Blake fa il falegname da sempre; per la prima volta, però, nella sua vita ha bisogno dello Stato, dato che è stato costretto a ritirarsi dal lavoro in seguito ad un attacco di cuore. Mentre si batte per ottenere un sussidio dopo decenni di fatiche (impresa che ha dell'impossibile, a causa delle pastoie della burocrazia inglese), conosce la ragazza madre Katie e i suoi due bambini. Per lei, l'unico modo di sfuggire a un'esistenza nella camera di un ostello londinese per i senzatetto, è quello d'accettar un appartamento in una città che non conosce, a ben 500 chilometri di distanza dalla capitale. Katie e Daniel si trovano così in una terra di nessuno, prigionieri d'un sistema che vuole la popolazione divisa in chi lavora duro e chi sfrutta i sussidi statali pur di non farlo...</div>
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Seconda Palma d'oro al festival di Cannes (la prima risale al 2006, per "Il vento che accarezza l'erba"), "Io, Daniel Blake" è un film che non si sarebbe dovuto realizzare. Eh sì, perché Ken Loach, giunto agli ottant'anni, aveva annunciato che avrebbe smesso la sua attività registica, a motivo della fatica che fare un film inevitabilmente comporta. E' stata una fortuna, che il nostro ci abbia ripensato: in primo luogo, perché egli è uno dei pochissimi cineasti che sappia rifiutar questo come il migliore dei mondi possibili; dipoi, perché è forse l'unico che abbia costantemente messo gli ultimi, i diseredati, al centro dei propri interessi; infine, perché il suo sguardo non nasconde d'essere ideologico nel miglior senso del termine, vale a dire affrontando il reale seguendo i dettami di un'etica.</div>
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"Io, Daniel Blake" è sin dal titolo - quelli col nome dentro paiono i più sentiti, dei suoi, vedi "My Name is Joe" - un lavoro appassionato ed urgente, "puro e schietto come i film di De Sica" ("Variety" dixit). L'umanità messa in scena è quella che non va sui giornali se non per categorie e statistiche; personaggi ai quali il capitalismo ripete, come un mantra, che essi non son degni di una storia - e della Storia, di cui invece sono il motore. Scritta in coppia con il sodale di sempre, Paul Laverty, l'ultima pellicola di Loach è pervasa da una disperazione che investe tutto, inclusi i partiti che hanno accettato una indecorosa resa con il sistema. La grandezza del protagonista, un working class hero anziano e malato, spicca ancor di più in un mondo senza pietà, ma nel quale egli non manca alla solidarietà verso i suoi simili (il rapporto d'affetto con Katie è fra le cose più belle che si siano viste di recente sul grande schermo). Ci sono due scene, in particolare, che sono destinate a restare: nella prima, una Katie letteralmente ridotta alla fame non resiste al desiderio di mangiare direttamente dentro lo spaccio dei poveri; l'altra, è lo scioglimento della vicenda, pregno di tristezza ma in cui risuona, forte, l'orgoglio della dignità. C'è chi, in un giornale di sinistra, ha detto che il verdetto di Cannes è stato rovinato dal massimo premio conferito a questo film. Si vergogni, costui; e si vergogni chi lo ha eletto recensore, senza il benché minimo discernimento.</div>
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Francesco Troiano</div>
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IO, DANIEL BLAKE. REGIA: KEN LOACH. INTERPRETI: DAVE JOHNS, HAYLEY SQUIRES, BRIANA SHANN, DYLAN McKIERNAN. DISTRIBUZIONE: CINEMA. DURATA: 100 MINUTI.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/05004875624231630918noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2990441502146282116.post-46892703775575582682016-10-03T17:26:00.001+02:002016-10-03T17:31:23.836+02:00Quando hai 17 anni<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;">In un aspro villaggio fra le montagne della Francia sud-occidentale, Damien e Thomas frequentano la stessa scuola. Potrebbero esser amici, ma non si sopportano: quando le parole non sono abbastanza, passano alle vie di fatto. La madre di Damien, Marianne, fa il medico; il padre, pilota militare, trascorre buona parte del suo tempo in missione. Thomas è magrebino, figlio adottivo di una coppia di contadini che vive in una remota fattoria in mezzo ai monti. Dopo molte difficoltà, la mamma adottiva di lui è, di nuovo, incinta; dal momento che la sua gravidanza si presenta complicata (nelle volte precedenti, la donna ha sempre dovuto interromperla), Marianne s'offre di aiutarla accogliendo Thomas in casa propria per il tempo necessario. I due ragazzi si trovano, quindi, sotto lo stesso tetto; e, pure a causa della forzata convivenza, il loro rapporto comincia a mutar segno...</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;">André Téchiné ha già narrato nel suo film più bello, "L'età acerba" (1994),</span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"> </span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;">la genesi di un sentimento controverso e di un desiderio che nasce su spinta incoercibile della natura; tuttavia, sarebbe sbagliato ridurre "Quando hai 17 anni"</span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"> </span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;">alla mera descrizione di una passione adolescenziale. L'istintualità della età ingrata è certo il punto di partenza, ma il regista francese lo adopera per scandagliare una serie di tematiche: la virilità, la filiazione e quanto funge da matrice per i singoli. La sua macchina da presa si muove stando addosso ai personaggi, quasi mimandone nei movimenti l'inquietudine di fondo: però, mai si dimentica di inserirli con cura nel contesto sociale e familiare entro il quale si trovano ad agire.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;">Se "L'età acerba" era ambientato</span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"> nella Francia del conflitto algerino, "Quando hai 17 anni" sceglie la contemporaneità e la provincia. Tra le montagne dell'Ariege, egli dipinge una comunità piccola e solidale, in cui la collaborazione ed il mutuo soccorso sono abituali e sentiti. Paiono lontani, se non addirittura inimmaginabili, i conflitti di classe: nel modo in cui Damien e Tom si cercano come se si annusassero, si affrontano, si picchiano nel contesto di una natura selvaggia, sta piuttosto la ricerca di personali soluzioni; laddove la "confidenza" nella vita - lo dice Marianne al figlio, in una delle scene più belle del film - è la sola cosa da avere, la bussola sulla quale contare, finanche quando l'amore sembra far saltare tutti gli schemi, creando una sorta di ansia. La sceneggiatura di Céline Sciamma è efficace nella raffigurazione del difficile relazionarsi fra i protagonisti; t</span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;">ra loro si accomoda, quasi ad arbitrare gli scontri, la madre soccorrente e rigenerativa di Sandrine Kiberlain, strepitosa in un ruolo che si basa su sfumature e mezzetinte.</span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"> Insomma, dopo qualche prova deludente, in sospetto di cedimento a logiche commerciali, Téchiné ritrova la forma delle opere migliori; e, a 73 anni, si confronta con l'età verde in maniera straordinaria. Auscultando i primi battiti dell'amore; rendendoli in immagini dolci, vitali, calde.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"> Francesco Troiano</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14px; line-height: 19px;">QUANDO HAI 17 ANNI. REGIA: ANDRE TECHINE'. INTERPRETI: SANDRINE KIBERLAIN, KACEY MOTTET KLEIN, CORENTIN FILA, ALEXIS LORET. DISTRIBUZIONE: CINEMA. DURATA: 114 MIN. </span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: medium;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: 14px; line-height: 19px;"><br /></span></span></div>
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