martedì 4 giugno 2013

Holy Motors

La giornata di Oscar si svolge in una limousine extralunga guidata da Céline, misteriosa dama bionda ch'è per lui una sorta di assistente tuttofare. Egli, per professione, passa da una vita ad un'altra: uomo d'affari, anziana mendicante, performer per realtà virtuali, mostro, assassino dei bassifondi, vecchio morente, padre di famiglia ed altro ancora. Forse vi sono dei committenti, forse no; il nostro sostiene d'esser ancora motivato dalla "bellezza del gesto", dall'obbligo di mostrarsi ogni volta differente e creativo...

E' difficile, scrivere una sinossi di "Holy Motors". Carax - tornato alla sua migliore forma, quella di "Rosso sangue" (1986) - si conferma cineasta ambizioso sino alla presunzione, azzardoso al punto da rischiare il disastro (quanto si era verificato, nel '91, con "Gli amanti del Pont-Neuf", e ripetuto nel '99 con "Pola X"). Già l'incipit, il regista che si risveglia e disvela una porta nel muro che lo conduce in una sala cinematografica, con gli spettatori seduti di fronte (una palese citazione dal King Vidor de "La folla"), è di quelli che possono incuriosire o irritare. Si tratta, pure, di una sorta di anticipazione: tutto il film si muoverà lungo le medesime coordinate, prendendosi il rischio di deragliare. Ciascuno dei personaggi interpretati dal protagonista fa riferimento ad un "genere", dal grottesco al dramma familiare, dal musical all'action movie; gli omaggi a cineasti amati non si contano, Georges Franju e Tod Browning, Cocteau e Bertolucci, Kubrick e Clair.

Ciò detto, chi si figurasse un'opera tutta di testa, algida ed intellettualistica, sbaglierebbe di grosso. Carax è anzi addirittura viscerale - dando un'immagine assai peculiare dell'incubo morale e sociale in cui viviamo - nel cercare la partecipazione emotiva del pubblico, sollecitato a scuotersi, a partecipare (la platea iniziale è composta, non a caso, da dormienti). Quello che potrebbe sembrare un monologo interiore, in realtà è una provocazione di tipo dadaista, che vuole riconciliare con un'idea di esistenza più diretta e naturale. Colga il segno o meno, ognuno valuterà con la propria sensibilita; ma nessuno, crediamo, potrà disconoscere quanto questo caleidoscopio d'immagini sia sorprendente e, a tratti, geniale. A ben pensarci, "Holy Motors" assomiglia per diversi aspetti a "La grande bellezza" di Sorrentino. Qui è Parigi, come lì Roma, la coprotagonista della vicenda, ai più e per i più invisibile (e Céline sollecita infatti ad un certo punto Oscar a guardarla, la città); in entrambi i lavori, inoltre, un'umanita regredita e sconfitta si muove senza speranze o gioia. Ma se la disperazione notturna, devastata, pare la stessa, Carax possiede bastevole talento per essere allo stesso tempo più rigoroso e ironico (a parità di sicumera, verrebbe da aggiungere); insomma, dove Sorrentino - in modo lodevole, però un poco affannoso - cerca, il francese trova. L'interpretazione di Denis Lavant è, semplicemente, monumentale.
                                                                                                                                    Francesco Troiano

HOLY MOTORS. REGIA: LEOS CARAX. INTERPRETI: DENIS LAVANT, EDITH SCOB, EVA MENDES, KYLIE MINOGUE, MICHEL PICCOLI. DISTRIBUZIONE: MOVIES INSPIRED. DURATA: 115 MINUTI. 

Nessun commento:

Posta un commento