Nathalie Chazeau, insegnante di filosofia in un liceo di Parigi, è sposata da cinque lustri con il collega Heinz, ha due figlioli ed una madre fragile, che necessita di continue attenzioni. Un tempo appassionata sostenitrice d'idee rivoluzionarie, ha convertito l'idealismo degli anni verdi "nell'ambizione più modesta d'insegnare ai giovani a pensare con la propria testa" e propone ai propri studenti testi che favoriscano il confronto e la discussione. La sua esistenza - che divide fra gli obblighi familiari ed un lavoro che ama - all'improvviso è travolta da una serie di eventi negativi: la mamma muore (lasciandole la gatta Pandora, alla quale è allergica, da accudire), la collana specializzata che curava per una casa editrice è soppressa, il marito le preferisce un'altra donna. Senza preavviso, Nathalie si trova da sola con tutto da ricostruire, potendosi basare sulla complicità intellettuale di un ex-studente e il pragmatismo che mai le è mancato...
Classe 1981, Mia Hansen-Love si conferma con questo "L'avenir" - il titolo italiano rende il senso, ma non la temperie - uno tra i maggiori talenti della sua generazione a livello internazionale. Già con l'opera d'esordio, "Tout est pardonné" (2007), s'era fatta notare alla Quinzane des Réalisateurs di Cannes. Il secondo film, "Il padre dei miei figli" (2009), sempre presentato nel contesto cannense, guadagnava il premio speciale della giuria nella sezione Un Certain Regard. Il 2011 è l'anno dello splendido "Un amore di gioventù", menzione speciale al Festival di Locarno. Nel 2014 in anteprima al Festival di Toronto viene presentato l'intenso "Eden". Ora, insignita dell'Orso d'Argento per la miglior regia alla Berlinale, la cineasta trova un prestigioso riconoscimento a suggellare la prima parte della sua carriera.
Nelle immagini incipitarie, Nathalie ed i suoi visitano la tomba di Chateaubriand sull'isolotto di Grand Bé, a 400 metri da Saint-Malo. E' una sorta d'indicazione metodologica: se è "Il perdente radicale" di Enzensberger il primo dei molti testi filosofici citati nel corso della narrazione, dei filosofi evocati - da Rousseau ad Adorno, da Schopenhauer a Horkheimer, da Aron a Jankélévitch - nello snodarsi della vicenda, non si deve pensare ad un gusto snobistico, ad una mera civetteria da intellettuali. Gli è che la cultura è individuata dalla protagonista come uno strumento di resistenza agli agguati del destino, allo scorrere implacabile dei giorni, ad una volgarità imperante cui non ci si rassegna. Non è che Nathalie nutra soverchie illusioni (anche se, quando il coniuge annuncia la volontà di rompere, non può evitare di dirsi: "Pensavo che mi avresti amata per sempre. Che cogliona!"), ma l'ottimismo della volontà certo la guida nel suo rapporto con gli studenti, l'approccio all'esistere resta positivo pur se le cose - la collana editoriale come il matrimonio - si sfarinano celatamente. In questa leggerezza di tocco nel gestire una materia ove ogni cosa succede sotto traccia, non grida non drammi, sta la maestria della Hansen-Love: capace di chiudere con un finale memorabile, in cui a Nathalie è dato d'abbracciare il piccolo erede che le ha donato la figlia, mentre all'ex-marito tocca tornare alla sua coazione al piacere senza soddisfazioni. Pur in un cast affiatato e di alto livello, giganteggia una Isabelle Huppert per la quale davvero non basta alcuna professione di stima: quando compare sullo schermo, la magia del cinema - puntuale - si realizza.
Francesco Troiano
LE COSE CHE VERRANNO. REGIA: MIA HANSEN-LOVE. INTERPRETI: ISABELLE HUPPERT, ANDRE' MARCON, ROMAN KOLINKA, EDITH SCOB. DISTRIBUZIONE: SATINE FILM. DURATA: 100 MINUTI.