mercoledì 22 marzo 2017

Elle

Mentre sta chiudendo una porta-finestra della sua elegante abitazione parigina, Michèle viene assalita da uno sconosciuto che la prende a pugni e calci, la getta sul pavimento, la immobilizza e con spietatezza abusa sessualmente di lei. Rialzatasi, una vasta ecchimosi sul volto di cui non alcuno le domanderà mai la ragione, si appresta a preparare il sushi per il figlio. Tutto sembra svanito, una brutta avventura e basta. In realtà, la violata ha dimestichezza con l'orrore sin da quando era solo una bambina: suo padre, uomo molto religioso, uscito di casa finì per sterminare 27 persone, nel corso di un attacco di follia. Lo stupro - che, in ogni caso, Michèle non ha l'intenzione di denunciare - viene fuori sere dopo come nulla fosse, mentre pasteggia a champagne con degli amici. Dipoi, ella fa cambiare le serrature di casa, acquista uno spray urticante e un martello, quasi in previsione del fatto che il violentatore si rifarà vivo...

Erano dieci anni ed oltre che non si sentiva parlare di Paul Verhoeven: dopo quel "Black Book" (2006) che segnava il ritorno a girare in Europa del regista olandese, noto al grande pubblico soprattutto per il successo di scandalo di "Basic Istinct"(1992); thriller di filiazione hitchcokiana, dove egli riprendeva in maniera spettacolare ed effettistica il tema della donna mantide, già sviluppato - ed assai meglio - ne "Il quarto uomo" (1983). Verhoeven è cineasta che non ha in genere goduto di buona critica: discontinuo certo, andrebbe ricordato - oltre per i titoli di cui sopra - almeno per "Robocop" (1987), ove acutamente smontava i meccanismi della science fiction cinematografica, ibridandola con il poliziesco di revenge.

Il fatto che, quasi 80enne, egli abbia deciso di adattare per il grande schermo "Oh..." di Philippe Djian (già con un'opera sua dietro al discusso, e virtuosistico, "Betty Blue", firmato nel 1986 da Jean-Jacques Beineix), è una scelta singolare. Intendiamoci, c'erano spunti di sesso e brutalità che sicuramente sono congruenti col suo universo d'autore: ciò che sorprende, tuttavia, è lo sviluppo e l'impostazione che egli ha scelto, sin dalla decisione di mutare il titolo. "Elle", in verità, non indica il concentrarsi in maniera esclusiva sulla sua protagonista (anche se è di continuo al centro della scena): no, Michèle è più un polo d'attrazione attorno al quale ruotano una serie di rapporti, reale motivo d'interesse del nostro. Al quale dello scioglimento del plot poco importa (l'identità del colpevole si evince con facilità), laddove invece vetrioleggia con una cattiveria davvero chabroliana la borghesia di successo che campeggia nella storia. 

Isabelle Huppert, infine. Chi scrive la ritiene miglior attrice vivente in assoluto. Se ne occorresse una riprova ulteriore, si veda la divertita maestria con la quale ella affronta un personaggio azzardoso, a dir poco: basti la maniera insinuante in cui suggerisce una sorta di morboso compiacimento nella situazione venutasi a creare, la morbidezza con cui seduce un vicino di casa appena conosciuto sotto gli occhi della di lui moglie, i lampi di feroce sarcasmo che lascia guizzare durante una cena di Natale. O quel momento, sublime, in cui - direttrice di un laboratorio che produce videogame di fantaerotismo - si trova ad ammonire: "quegli orgasmi femminili sono troppo timidi!". La sua performance ha per motore l'ambiguità: nessuno sa renderla con altrettanta naturalezza. Se il film di Verhoeven è, a nostro avviso, il migliore della stagione, massima parte del merito va a questa interprete straordinaria. Isabelle. Elle.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

ELLE. REGIA: PAUL VERHOEVEN. INTERPRETI: ISABELLLE HUPPERT, LAURENT LAFITTE, ANNE CONSIGNY, CHARLES BERLING, VIRGINIE EFIRA. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 130 MINUTI.

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