martedì 6 dicembre 2016

E' solo la fine del mondo

Dopo un'assenza durata dodici anni Louis, giovane e affermato drammaturgo, torna nella casa natale per informare i propri familiari d'essere afflitto da un male incurabile. S'imbarca sul primo aereo, rientra in seno alla comunità dalla quale era fuggito, che lo attende tra premurosità e isteria. C'è Suzanne, la sorella minore, che egli non ha mai veduto crescere; Antoine, il fratello più grande, collerico per il non previsto evento e aggressivo perché si sente in qualche modo minacciato da questo ritorno; la madre di tutt'e tre, ingombrante e premurosa, del tutto inadeguata ad affrontare un figlio che, peraltro, mai era riuscita a capire. Infine Catherine, la cognata ignota, che s'esprime con timidezza, ma è l'unica a comprendere, alla fine, le ragioni dell'imprevista visita. Insieme a loro, Louis va in cerca di brandelli di verità, ma - proprio come avveniva in passato - le voci si sovrappongono, il bisogno di urlare prende il sopravvento; nevrosi e rancori, rabbie e paure si ripresentano puntuali, confinando la speranza a mero rumore di fondo.

Tratto da un testo teatrale scritto nel 1990 dal francese Jean-Luc Lagarce (morto nel 1995, a causa di complicanze subentrate al virus Hiv), "E' solo la fine del mondo" - premio della giuria a Cannes, giusto il festival che ha accolto il nostro da quando aveva vent'anni - è un kammerspiel teso, potente, violento di quella violenza che solamente l'abuso di parole e di emozioni riesce a creare. Da "J'ai tué ma mère" a "Mommy", è la sensazione della vergogna, la vergogna di sé a tener separati i membri delle famiglie di Dolan, perduti in querelle interminabili. Con "E' solo la fine del mondo", la separazione è condotta al calor bianco e profusa dentro un'emorragia verbale devastata e devastante. Congedo privo di appelli, nel quale la crudeltà ha la meglio su ogni possibile tenerezza e la vis drammaturgica ripropone quella della pièce teatrale, il film inscena un'impossibile riconciliazione e salda, presumibilmente, i conti con l'argomento, evocandolo un'ultima volta in interni e calandolo nel caos più assoluto.

Contestato da alcuni critici per l'aria di palcoscenico che vi circola e per la chiusura, fino al tanfo, in una messa in scena claustrofobica, "E' solo la fine del mondo" appare, forse, meno originale ed azzardoso degli altri titoli del nostro, ma per certo è il più sentito e vigoroso. Il 27enne regista canadese continua la sua personale immersione nelle sgradevoli dinamiche di gruppi familiari disfunzionali, probabile frutto di ossessioni coltivate con nevrotico impegno. I termini per spiegarsi non s'individuano, ciascuno grida la propria rabbiosa insoddisfazione, solo chi ascolta (la cognata) riesce ad udire, dire qualcosa (il protagonista) si rivela anelito a un traguardo irraggiungibile, condanna ad una solità fattasi gravame insopportabile. Privilegiando primissimi piani, adoprando il campo-controcampo alternato a repentini scambi corali, Dolan compone una raffinata partitura per sussurri e grida (espressione, non a caso, forgiata da un critico musicale, riferendosi ad un quartetto di Mozart), che trova negli eccezionali interpreti degli esecutori ideali. La metafora finale dell'uccello a cucù che s'incarna per poi piombare al suolo è uno svolazzo magari pleonastico, ma che si perdona volentieri ad un autore fra i più necessari e peculiari del cinema contemporaneo.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

E' SOLO LA FIE DEL MONDO.REGIA: XAVIER DOLAN. INTERPRETI: GASPARD ULLIEL, NATHALIE BAYE, LEA SEYDOUX, VINCENT CASSEL, MARION COTILLARD. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 95 MINUTI. 




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