lunedì 17 ottobre 2016

Io, Daniel Blake

Newcastle. Il cinquantanovenne Daniel Blake fa il falegname da sempre; per la prima volta, però, nella sua vita ha bisogno dello Stato, dato che è stato costretto a ritirarsi dal lavoro in seguito ad un attacco di cuore. Mentre si batte per ottenere un sussidio dopo decenni di fatiche (impresa che ha dell'impossibile, a causa delle pastoie della burocrazia inglese), conosce la ragazza madre Katie e i suoi due bambini. Per lei, l'unico modo di sfuggire a un'esistenza nella camera di un ostello londinese per i senzatetto, è quello d'accettar un appartamento in una città che non conosce, a ben 500 chilometri di distanza dalla capitale. Katie e Daniel si trovano così in una terra di nessuno, prigionieri d'un sistema che vuole la popolazione divisa in chi lavora duro e chi sfrutta i sussidi statali pur di non farlo...

Seconda Palma d'oro al festival di Cannes (la prima risale al 2006, per "Il vento che accarezza l'erba"), "Io, Daniel Blake" è un film che non si sarebbe dovuto realizzare. Eh sì, perché Ken Loach, giunto agli ottant'anni, aveva annunciato che avrebbe smesso la sua attività registica, a motivo della fatica che fare un film inevitabilmente comporta. E' stata una fortuna, che il nostro ci abbia ripensato: in primo luogo, perché egli è uno dei pochissimi cineasti che sappia rifiutar questo come il migliore dei mondi possibili; dipoi, perché è forse l'unico che abbia costantemente messo gli ultimi, i diseredati, al centro dei propri interessi; infine, perché il suo sguardo non nasconde d'essere ideologico nel miglior senso del termine, vale a dire affrontando il reale seguendo i dettami di un'etica.

"Io, Daniel Blake" è sin dal titolo - quelli col nome dentro paiono i più sentiti, dei suoi, vedi "My Name is Joe" - un lavoro appassionato ed urgente, "puro e schietto come i film di De Sica" ("Variety" dixit). L'umanità messa in scena è quella che non va sui giornali se non per categorie e statistiche; personaggi ai quali il capitalismo ripete, come un mantra, che essi non son degni di una storia - e della Storia, di cui invece sono il motore. Scritta in coppia con il sodale di sempre, Paul Laverty, l'ultima pellicola di Loach è pervasa da una disperazione che investe tutto, inclusi i partiti che hanno accettato una indecorosa resa con il sistema. La grandezza del protagonista, un working class hero anziano e malato, spicca ancor di più in un mondo senza pietà, ma nel quale egli non manca alla solidarietà verso i suoi simili (il rapporto d'affetto con Katie è fra le cose più belle che si siano viste di recente sul grande schermo). Ci sono due scene, in particolare, che sono destinate a restare: nella prima, una Katie letteralmente ridotta alla fame non resiste al desiderio di mangiare direttamente dentro lo spaccio dei poveri; l'altra, è lo scioglimento della vicenda, pregno di tristezza ma in cui risuona, forte, l'orgoglio della dignità. C'è chi, in un giornale di sinistra, ha detto che il verdetto di Cannes è stato rovinato dal massimo premio conferito a questo film. Si vergogni, costui; e si vergogni chi lo ha eletto recensore, senza il benché minimo discernimento.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

IO, DANIEL BLAKE. REGIA: KEN LOACH. INTERPRETI: DAVE JOHNS, HAYLEY SQUIRES, BRIANA SHANN, DYLAN McKIERNAN. DISTRIBUZIONE: CINEMA. DURATA: 100 MINUTI.

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