martedì 14 aprile 2015

Mia madre

Margherita sta girando un film sulla crisi economica italiana, in cui si narra dello scontro tra gli operai  d'una fabbrica e la nuova proprietà Usa, probabilmente foriera di tagli e licenziamenti. La complessità propria d'un lavoro corale di tale argomento, è aumentata dalle bizzarrie della star italo-americana che ha scelto per interpretare la parte del neo-padrone statunitense: un attore in crisi, ostacolato dalla sua fama di divo, particolarmente avvertita dal provincialismo della cinematografia nostrana. Margherita è inoltre separata, ha una figlia adolescente che frequenta di malavoglia il liceo classico (quasi imposto da una tradizione familiare che trova la sua scaturigine nella nonna, insegnante di latino e greco), ha appena lasciato il proprio compagno, impegnato nelle riprese, conduce una vita confusa e sfinente. Le  istanze del privato, poi, pesano non poco. L'imminente morte della madre Ada, ricoverata in ospedale e afflitta da una sofferenza cardiaca giunta all'ultimo stadio, la porta a un confronto difficile e doloroso: in primo luogo con se medesima e col fratello Giovanni, ingegnere che s'è preso un lungo periodo di aspettativa dal lavoro, per accudire la genitrice amatissima e dai giorni contati...

In "Patrimonio", lo splendido libro in cui Philip Roth racconta la morte del padre, lo scrittore galiziano adopera, per il suo personaggio, il proprio nome e cognome, in luogo di Nathan Zuckerman o David Kepesh. In "Mia madre", Moretti per sé usa il nome di Giovanni e per quello della Buy, Margherita. Ci sembra, questa, una ulteriore sottolineatura di quanto di privato ci sia in questa pellicola complessa e stratificata, forse non tra la sue di vertice, ma in ogni caso la più sentita emotivamente dai tempi di "Caro diario" (1993). Con questo, non stiamo dicendo che l'opera sia strettamente autobiografica: certo, egli ha iniziato a scriverla quando erano appena avvenute le cose poi divenute tema della storia. Ciò non ci sembra abbia influito più di tanto sulla qualità narrativa, però ha avuto delle conseguenze.

In primo luogo, il tema centrale del film - che è lo spaesamento che si prova di fronte alla perdita di una persona cara - procede, quasi a non troppo imporsi, parallelamente ad almeno altri due: il bilancio esistenziale di una donna che si sta avvicinando alla mezza età e il proprio rapporto con il presente (di lei e dell'artista, intendiamo). Il modo in cui Moretti ha pensato la storia di Margherita ricorda da vicino uno dei capolavori di Woody Allen, "Un'altra donna" (1988): ma, mentre Allen trovava una miracolosa leggerezza nell'impaginare il percorso di Gena Rowlands, il nostro sciorina come di consueto una serie di parentesi tese a far ridere, affidandole all'istrionismo di John Turturro. Il risultato è una mescolanza non sempre riuscita con i momenti più toccanti, si tratti di una ricognizione nella memoria (la sequenza davanti al cinema Capranichetta del passato, con una lunga fila di persone che attende di assistere a "Il cielo sopra Berlino") o di situazioni che stridono con lo stato d'animo del personaggio (il momento in cui un rappresentante le propone di cambiare gestione elettrica ed ella si smarrisce nella ricerca d'una bolletta, chiara metafora di un'assenza inaccettabile). Quanto ai rapporti con il presente, con l'attuale situazione di conflitto sociale, ci pare che il regista si limiti a sfiorarli senza convinzione: ed è, forse, proprio questo sentimento di inadeguatezza, finanche d'inutilità di ogni cosa, il più forte che promana dalla visione. La messa in scena d'una sconfitta, senza alibi od infingimenti.

Le note più vere, quelle che fanno di "Mia madre" un qualcosa destinato a restare in ogni caso nella memoria, riguardano la messa in scena cinematografica della scomparsa della mamma. Il trapasso commuove per la mirabile economia dei mezzi: l'esazione della lacrima è evitata con un'accuratezza che non significa, per nulla, perdere in intensità. I momenti in cui Margherita cerca di aiutare Ada, goffamente, con le lacrime in anticamera ed il cuore in patimento, sono magnifici e fanno pensare a "Dove lei non è", quello straziante diario del lutto che Roland Barthes ebbe a vergare durante la malattia materna. Ed è assai brava, la Buy, a render nei movimenti la propria difficoltà, quasi non le riuscisse più di collocare il proprio corpo nello spazio. Le dà la replica con autorevolezza una Giulia Lazzarini che - forte della sua esperienza teatrale - trova con naturalezza una misura d'ossimoro, tra straziante e rasserenante, perfetta. Detto che Moretti si ritaglia, per pudore, un ruolo di raccordo, laterale, rispetto a una vicenda che gli brucia fra le mani, di certo nell'ultima parte, da cineasta, egli dà il meglio: chiudendo con uno scambio di battute fra madre e figlia, che evoca il domani natura delle cose, necessità, scorrere del tempo. Anche se le braccia che ci hanno da sempre accolti, in quel futuro, non ci saranno più.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

MIA MADRE. REGIA: NANNI MORETTI. INTERPRETI: MARGHERITA BUY, JOHN TURTURRO, GIULIA LAZZARINI, NANNI MORETTI, BEATRICE MANCINI. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 106 MINUTI

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