lunedì 12 gennaio 2015

Hungry Hearts

New York. Mina e Jude s'incontrano nella toilette di un ristorante cinese, dove rimangono chiusi per un capriccio della sorte. Ne scaturisce una relazione, suggellata dalla nascita di un bimbo, che li induce ad unirsi in matrimonio. Dal colloquio con una veggente, Mina trae il convincimento che il suo sarà un figlio particolare, necessitante di protezione da ogni impurità. Per nutrirlo, ella si serve soltanto degli ortaggi che ha iniziato a coltivare sul terrazzo di casa e per lungo tempo non lo fa uscire, per paura che veleni esterni possano contaminarlo. Tutte queste precauzioni finiscono per andare a detrimento di una sana crescita del piccolo. Dopo qualche incertezza, Jude decide di opporsi a dette scelte, facendo visitare il   figliolo di nascosto da un medico, che non può che testimoniare la gravità della situazione venutasi a creare. Mina, però, cede solo in apparenza alle richieste del coniuge, rendendo inevitabile il conflitto...

I film di Saverio Costanzo parlano spesso di amori ossessivi, della difficoltà di trovare un equilibrio tra la mente ed il corpo: si tratti dei palestinesi di "Private", dei seminaristi di "In memoria di me" o dei giovani de "La solitudine dei numeri primi", al centro del cinema del nostro pare campeggiare sempre, o quasi, una qualche forma di disagio, di malessere esistenziale. Non sfugge alla regola "Hungry Hearts", che - traendo ispirazione dal romanzo di Marco Franzoso "Il bambino indaco" - propone una riflessione sulla genitorialità nelle forme del thriller esistenziale, magari sulla scorta di esperienze personali ("Il libro di Franzoso mi ha colpito e anche respinto, ma continuava a tornarmi in mente... Sono un padre passato attraverso una separazione molto dolorosa: forse ho cominciato a scrivere questa sceneggiatura perché avevo bisogno di perdonare me stesso e guardare con più compassione i miei sbagli").

Precoce orfana di madre, un babbo col quale da moltissimo non ha più contatti, Mina porta dentro di sé le premesse per esser un cuore affamato, giusto come il titolo suggerisce. Non si rende però conto che il suo sentimento nei confronti del figlio appartiene alla categoria dell'impossessamento, nient'affatto a  quella dell'affettività: vederla agire fa venire in mente certe riflessioni del filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, laddove egli ci indica come la nostra sia "un'epoca nella quale i figli sono, prima di ogni altra cosa e più di ogni altra cosa, oggetti di consumo emotivo. Gli oggetti di consumo soddisfano i bisogni, desideri o capricci del consumatore, e altrettanto fanno i figli. Questi ultimi vengono desiderati perché i genitori sperano arrecheranno quel tipo di gioie che nessun altro oggetto di consumo, quanto si vuole  raffinato ed ingegnoso, è in grado di offrire".

Venendo alla struttura della pellicola, il passaggio fra i vari registri - dalla sophisticated comedy iniziale ad un accenno di sentimentale, passando per dei toni addirittura horror e chiudendo col melodramma - non è esente da stridori e sconnessioni, che fanno di "Hungry Hearts" un esperimento coraggioso più che un esito valido. La mancanza di sviluppi narrativi della vicenda non apporta aiuto, il coinvolgimento dello spettatore è frenato dalla misura del disagio costantemente cercata (con effetti, pure, di comicità involontaria, come nel discutibile incipit), lo scioglimento è tanto prevedibile quanto forzoso. Restano le eccellenti prove d'attore di Alba Rohrwacher e di Adam Driver, giustamente premiati entrambi all'ultima Mostra di Venezia: pure loro, tuttavia, a volte disorientati nel disegno di psicologie non sufficientemente delineate in sede di sceneggiatura.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

HUNGRY HEARTS. REGIA: SAVERIO COSTANZO. INTERPRETI: ADAM DRIVER, ALBA ROHRWACHER, ROBERTA MAXWELL. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 109 MINUTI.

 

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