lunedì 16 giugno 2014

Synecdoche, New York

Maden Cotard, regista teatrale, mentre sta lavorando alla messa in scena di "Morte di un commesso viaggiatore", vede la propria esistenza andare in briciole. La moglie Adele l'abbandona, per continuar la carriera di pittrice a Berlino, portando con sé la figlioletta Olive; la sua relazione con l'affascinante Hazel è durata ben poco; lo affligge, inoltre, una depressione incombente e la sensazione d'essere un malato terminale. D'improvviso gratificato da un prestigioso e ricco premio, decide di riunire un gruppo di attori per mettere in scena una replica della sua vita, dentro ad un enorme hangar che riproduce i luoghi da lui frequentati. Un tale Sammy, che lo ha seguito di nascosto per anni, lo interpreterà nella finzione teatrale; mentre, nella realtà, sua figlia è caduta preda dell'influsso di Maria, amante della madre, mentre egli non riesce a dimenticare Adele...

E' assai difficile, raccontare la trama di "Synecdoche, New York". Presentato al Festival di Cannes nel 2008, è l'unico lungometraggio diretto da Charlie Kaufman, lo sceneggiatore prediletto da Spike Jonze ("Essere John Malkovich", "Il ladro di orchidee") e da Michael Gondry ("Human Nature", "Se mi lasci ti cancello", premiato con l'Oscar): difficilmente sarebbe approdato alle nostre sale, se la tragica morte del protagonista, Philip Seymour Hoffman, non l'avesse fatto ritornare di attualità. A parte un evidente elemento autobiografico (Hoffman recitò nel dramma di Miller la parte di Willy Loman, nel corso del 2012, al Barrymore Theatre di New York; un impegno che, a sentir le testimonianze di alcuni, gli costò parecchio, in termini di logorio nervoso), l'intero film pare rappresentare sotto traccia il dolore che ha accompagnato l'attore statunitense per lunghi periodi (riappalesatosi, infine, con il ritorno alle gravose dipendenze dalle quali, per molto tempo, era riuscito a tenersi distante).

Dicevamo delle difficoltà ermeneutiche della pellicola; chi abbia dimestichezza con il lavoro di Kaufman, non ne sarà, d'altro canto, sorpreso. Tra citazioni che spaziano da Tennessee Williams ("viviamo tutti in una casa in fiamme") a Shakespeare ("Tutto il mondo è un teatro e gli uomini e le donne non sono che attori"), dal Fellini di "8 e mezzo" all'Allen di "Io e Annie", il nostro riflette sugli scambi tra arte e vita, sul sogno di ricostruire un qualcosa che si fa borgesiana "mappa dell'inferno". Le nozioni d'identità, di tempo e di senso assumono colorazioni alle quali non siamo avvezzi: il titolo medesimo è un gioco di  parole tra Schenectady, la cittadina dove vive Caden (a proposito, il suo nome allude a una sindrome che fa credere morti), e la figura retorica della sineddoche, la parte per il tutto. Il cast - da Catherine Keener a Michelle Williams, da Samantha Morton a Tom Noonan - asseconda a meraviglia il disegno registico: ma nulla sarebbe com'è senza la prova strepitosa di Philip Seymour Hoffman. Il modo in cui, impercettibilmente, nel corso d'una conversazione o nel silenzio d'una pausa, una memorabile tristezza scende a velargli gli strumenti, è qualcosa che attiene ad un magistero naturale, ad un talento di quelli che si vedono davvero di rado. E che scompaiono, purtroppo, in un solo, sfortunato momento.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

SYNECDOCHE, NEW YORK. REGIA: CHARLIE KAUFMAN. INTERPRETI: PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, CATHERINE KEENER, MICHELLE WILLIAMS, SAMANTHA MORTON, TOM NOONAN. DISTRIBUZIONE: BIM. DURATA: 123 MINUTI.

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