lunedì 21 novembre 2016

Il cliente

Emad e Rana sono due coniugi obbligati a lasciare il proprio appartamento, in seguito ad un grave danno nel condominio in cui vivono. Si trovano, così, a dover trasferirsi in una nuova casa: nella bisogna, sono aiutati da un collega della compagnia teatrale dove i due recitano da protagonisti, nella “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. La nuova abitazione, però, ospitava in precedenza una prostituta, situazione che a loro non è stata fatta presente: così che un giorno, a Rana, capita d'aprire la porta - certa che si tratti del marito - a uno dei clienti della donna, il quale la aggredisce. Dopo il trauma, mentre ella è afflitta da paure, Emad si mette in cerca dell’uomo meditando una vendetta privata, nella quale non vuole coinvolgere la consorte e, ovviamente, la polizia...

Dopo la parentesi francese de "Il passato" (2013), Asghar Farhadi ritorna a proporci una vicenda iraniana, ambientata a Teheran. La trovata di far procedere azione teatrale e storia dei personaggi, creando una sorta di specularità gravida di significati, è probabilmente la meno azzeccata del film: nelle parti "di palcoscenico" (nell'incipit, dipoi nel sottofinale), si esprime un'idea dell'individuo solo sulla quinta del mondo che risulta già evidente - e assai più pregante - in quanto egli racconta con le immagini. Avendo inoltre presente che il testo di Arthur Miller mette in scena un tempo di mutazione nella dimensione sociale degli Usa, pel tramite delle vicende familiari del suo protagonista, non è difficile intuire che il nostro allude all'attuale fase storica dell’Iran, alle prese con un cambiamento tanto repentino dal finir col disorientare chi non sia pronto ad adattarvisi.

Se la sospensione fra cinema e teatro pare forzosa, nel narrare la disavventura che tocca in sorte ai protagonisti Farhadi ritrova la propria maestria registica e la sua sensibilità di artista. Qui, alla lettura sociologica si sostituisce la capacità di star sui fatti attraverso una camera che segue i personaggi senza braccarli, li fa vivere senz'ombra di artificio, scava nelle loro reazioni con un'intensità dostoevskiana. Come d'abitudine, il cineasta iraniano tiene fuori campo quello che è comunque comprensibile: la violenza può essere espressa da una stanza vuota, dai suoni di dolore, dalle grida smorzate, o dai tonfi innaturali che si odono. In ciò lontano dalle modalità occidentali, Farhadi lavora, invece, per sottrazione: il suo interesse va tutto alle reazioni di Emad e Rana, la rabbia di lui che si fa via via più scomposta, lo stress di lei che pur non rimuovendo sa che nulla può più essere cambiato. Sino ad un intenso finale, nel quale il carico delle responsabilità si dimostra meno facile  del previsto da suddividere e la pietà fa capolino, pur senza che una seconda tragedia sia evitata. Magari con una minore intensità che nel capolavoro "Una separazione" (2011), la poetica dello spaesamento di Farhadi viene tuttavia enunciata con nitore e potenza, grazie pure ad una coppia di interpreti straordinari (Shahab Hosseini è stato premiato a Cannes, ma uguale riconoscimento avrebbe meritato Taraneh Alidoosti). 
                                                                                                       Francesco Troiano

IL CLIENTE. REGIA: ASGHAR FARHADI. INTERPRETI: SHAHAB HOSSEINI, TARANEH ALIDOOSTI, BABAK KARIMI. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 125 MINUTI.


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