sabato 11 aprile 2015

Sarà il mio tipo?

All'apparenza, Clément e Jennifer non hanno alcunché in comune. Lui è un giovane, fascinoso docente di filosofia di Parigi, autore del libro "Dell'amore e del caso", trasferito per un anno ad Arras, tranquilla cittadina nel nord della Francia dove, metropolitano, scalpita; lei è un'attraente, esuberante parrucchiera, fiera del posto nel quale vive, madre separata che si divide tra il lavoro nel salone, la cura del figliolo e le serate al karaoke, in cui si esibisce assieme alle colleghe di lavoro. Lei si prova a leggere Kant, lui a ballare. Dopo i primi appuntamenti, prende vita una relazione intensa e ricolma di passione: neppure le barriere culturali fra i due sembrano ostacolare il loro rapporto. Ma Clément, che non crede alla coppia "perché l'amore non deve diventare una prigione", fatica assai ad abbandonarsi del tutto, pur essendo nel suo sentimento sincero giorno per giorno; quanto a Jennifer, ella desidera calarsi fino in fondo nel presente, per immaginare un futuro insieme.

Il precipuo cambiamento avvenuto dalla narrativa ottocentesca ad oggi consiste, fondamentalmente, nel fatto che allora si raccontavano, punto per punto, le peripezie che due persone dovevano affrontare per poter raggiungere l'agognata meta - previo matrimonio, naturalmente - dell'accoppiamento; oggidì, due giovani s'incontrano, si piacciono, vanno a letto insieme, tutto il resto poi si vedrà (o sarà il tema della storia, appunto). Queste riflessioni ci sono venute in mente vedendo "Sarà il mio tipo?", che il regista belga Lucas Belvaux ha tratto dal romanzo di Philip Vilain "Non il suo tipo" (da noi lo edita Gremese). Se il critico volesse incasellarlo in un genere, avrebbe delle difficoltà: il film ha l'incipit e un andamento da commedia, però man mano diviene un film di sentimenti (e non sentimentale), peraltro senza lieto fine. La sceneggiatura, dello stesso Belvaux, è la forza trainante della pellicola: se l'intero plot si svolge sotto l'insegna di una celebre frase di Renoir ("Il tragico della vita è che tutti hanno le loro ragioni"), i dialoghi sarebbero piaciuti al Roland Barthes di "Frammenti di un discorso amoroso", e incantano pel felice rimpallo delle battute.

"Sono così felice che vorrei morire subito, perché questo non finisca mai... E poi mi dico che non vale la pena di vivere momenti come questo perché per forza finiscono e che, in fondo, forse sarebbe meglio non viverli per non soffrire dopo. Ma sono felice comunque ed è troppo bello... Ecco, è così... ho la felicità triste". E non dirmi che anche tu, aggiunge subito dopo Jennifer: no, Clément è un filosofo, al massimo potrebbe - con Victor Hugo - affermare che "la malinconia è la felicità di essere tristi". Niente, comunque, che sia in presa diretta col cuore, impegni oltre un orizzonte quotidiano, assomigli sia pur in tralice a un progetto. Non anticiperemo lo scioglimento della storia d'amore più bella, intensa, struggente, che si sia vista al cinematografo negli ultimi decenni. Tuttavia, ciò non ci esenta dal lodare la prova di Loic Corbery, membro della Comedie Francaise, che è un convincente Clèment. Nè dal nascondere il nostro innamoramento - cinefilo, e pure di più - per Emilie Duquenne che, nei panni di Jennifer, splende e abbaglia. Ammirandola, nella distanza impostaci dal grande schermo, acclariamo cosa intendeva Fernando Pessoa chiosando: "ho nostalgia di tutto, soprattutto di quello che non ho vissuto".
                                                                                                                                     Francesco Troiano

SARA' IL MIO TIPO? REGIA: LUCAS BELVAUX. INTERPRETI: EMILIE DEQUENNE, LOIC CORBERY. DISTIRBUZIONE: SATINE FILM. DURATA: 111 MINUTI.


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